Este


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Origine e profilo sociale:

La famiglia E., di tradizione marchionale, risultava titolare, sul finire dell’XI secolo, di vasti possedimenti in tutta la bassa pianura veneta. Sebbene infatti una consistente parte dei domini fondiari, delle clientele, delle giurisdizioni, delle fortezze si concentrasse originariamente nel Padovano, la vastità degli interessi famigliari travalicava ampiamente questo territorio. E’ anzi possibile affermare che essa fosse, agli esordi del XII secolo, la più illustre e forse la più potente casata feudale dell’intera Val Padana orientale. Risiedendo stabilmente presso la rocca d’E. ed avendo ormai dinastizzato il titolo, la famiglia aveva del resto cominciato a qualificarsi con la designazione di “marchesi d’E.”.

Ad orientare le sorti famigliari verso il contesto ferrarese concorse in modo determinante l’acquisizione dell’eredità degli Adelardi. Il consistente patrimonio di questo casato, alla guida del partito cittadino che si opponeva ai Torelli, fu infatti assegnato ad Obizzo I allorché esso si estinse sul finire del XII secolo. Fu questo, di fatto, l’evento che permise agli E., precedentemente estranei alla scena politica cittadina, di assumere in modo relativamente subitaneo la leaderschip di quella pars che, un tempo egemonizzata dagli Adelardi, avrebbe ora acquisito la designazione di pars marchionis.



Espansione territoriale della dominazione e suo sviluppo cronologico:

Acquisita l’eredità degli Adelardi, il principale centro di potere degli E. divenne, indiscutibilmente, Ferrara. Da questa città, entro la quale il casato riuscì ad imporre un proprio primato sin dai primi decenni del secolo XIII (pur dovendo competere con i rivali Torelli), le mire egemoniche estensi si orientarono in modo diseguale nel corso del tempo. Agli esordi del Duecento, Azzo VI e suo figlio Aldobrandino ascesero ripetutamente alla carica podestarile, oltre che a Ferrara, anche nelle città di Mantova e Verona. Alla metà del secolo, però, questi due ultimi centri -il primo interessato dall’emersione dei Bonacolsi, il secondo fulcro del potere di Ezzelino da Romano e dei Della Scala- erano definitivamente usciti dagli orizzonti politici più direttamente interessati dalla parabola estense. Riconosciuto ufficialmente signore di Ferrara nel 1264, Obizzo II orientò piuttosto le sue aspirazioni verso Modena e Reggio le cui assemblee cittadine lo proclamarono anch’esse dominus generalis rispettivamente nel 1288 e nel 1290. Di lì innanzi (ad eccezione di brevi parentesi) i territori estensi avrebbero dunque compreso le tre città di Ferrara,  Modena Reggio  oltre ad una numerosa serie di centri minori tra i quali Argenta ed Adria.

Un’ulteriore area d’egemonia, destinata comunque a svolgere un ruolo sempre più marginale negli interessi famigliari, fu la Marca Anconetana, concessa quale feudo pontificio nel 1208 e quindi confermata un anno più tardi da Ottone IV. Per quanto le città di Fano, Fermo, Osimo e Fabriano prestassero ufficialmente atto di sottomissione prima ad Azzo VI quindi ad Aldobrandino, la riassunzione da parte della Sede Apostolica di più dirette giusdicenze privò progressivamente la famiglia estense di concrete prerogative nell’area.

Già Azzo VI, rivestendo con continuità l’incarico podestarile a Ferrara, aveva potuto esercitare sulla città, a cavaliere tra XII e XIII secolo, un informale primato personale perpetuato poi dai suoi figli Aldobrandino e Azzo VII. Quest’ultimo, catturando nel 1240 Salinguerra Torelli, sconfisse definitivamente il più temibile competitore dell’egemonia estense garantendo al casato una più indiscussa posizione egemonica. Nondimeno tale predominio, nel rispetto formale degli assetti politici comunali, si concretizzava ancora nella reiterata assunzione della dignità podestarile e nel controllo clientelare sulle ordinarie assemblee cittadine. Sarebbe stato Obizzo II, primo fra tutti i membri della famiglia, ad essere insignito del titolo di gubernator et rector et generalis et perpetuus dominus civitatis conferitogli nel 1264 dagli organismi comunali ferraresi, presto imitati da quelli modenesi e reggiani. La formalizzazione del regime signorile non evitò comunque il manifestarsi di violente contrapposizioni successorie che avrebbero prima minato l’autorità di Azzo VIII e quindi offerto una giustificazione all’intervento di papa Clemente V, le cui armi costrinsero Fresco all’esilio (1308). Restaurata l’antica autorità grazie all’intraprendenza di Rinaldo II (1317), la ritrovata coesione famigliare ed un mutato contesto politico generale (che permise agli E. di ottenere reiteratamente la legazia apostolica) furono elementi che concorsero a conferire una nuova stabilità al governo estense. Durante la signoria di Obizzo III, l’istituzione di una cancelleria domini marchionis e di una camera per la gestione degli affari finanziari rappresentarono cambiamenti istituzionali tali da conferire al regime una connotazione sempre più schiettamente “principesca”, del resto corroborata, a partire dai governi di Niccolò II, Alberto V e Niccolò III dalla progressiva strutturazione di un consiglio personale del signore.



Modalit? delle successioni:

Una delle principali criticità cui il regime estense a lungo soggiacque fu una forte conflittualità interna alla famiglia che si manifestò, in occasione dei vari nodi successori, nelle reiterate contrapposizioni tra Azzo VIII e Aldobrandino e tra questi e Francesco. Tali fratture si andarono risolvendo sul finire del secondo decennio del Trecento a seguito della ritrovata concordia tra Rinaldo II, Obizzo III e Niccolò I, la quale permise successioni non conflittuali ed una sostanziale continuità nell’esercizio del potere. Nondimeno, ancora negli anni Sessanta del Trecento, dopo un secolo di signoria formalizzata sulla città (per quanto interrotta nel periodo 1308-1317), nessun chiaro criterio successorio risultava essersi imposto. La dignità signorile non si trasmetteva linearmente per via agnatizia ma era attribuita a quel membro della famiglia che, di volta in volta, apparisse più autorevole. Alla morte di un dominus il titolo veniva attribuito sovente non tanto al figlio del defunto quanto al fratello piuttosto che ad altro membro del lignaggio. In quest’ottica le superiori investiture vicariali o legatizie rappresentano non solo uno strumento per corroborare l’autorità del signore in carica, quanto anche un mezzo per regolarne la successione. Tali dignità, attribuite solitamente in contemporanea a più membri della schiatta, ovvero al dominus regnante e ad altri suoi congiunti, finivano infatti per circoscrivere una rosa di individui entro la quale designare il successivo signore. Così ad esempio nel 1350 Aldobrandino III, Niccolò II, Folco, Ugo e Alberto vennero congiuntamente investiti, assieme al padre Obizzo III, della legazia pontificia; ed alla morte di Obizzo il potere passò, anche in forza di tale investitura, prima ad Aldobrandino e poi a Niccolò. Così ancora nel 1288 quando Alberto, già investito anni addietro assieme a Niccolò del vicariato imperiale, subentrerà a questo nella dignità signorile.

Castelli e basi militari nel contado:

Risorse e iniziative economiche:

Nell’esercizio del proprio potere gli E. poterono sempre confidare su un patrimonio fondiario vastissimo esteso nel Padovano meridionale ed in tutto il Ferrarese, nell’area del Polesine e del Delta del Po. Tali risorse fondiarie, che risultavano dall’unione dell’eredità adelardica con le originarie terre estensi, vennero del resto costantemente incrementate ricorrendo a due distinti strumenti. Da un lato, i membri della famiglia procedettero con continuità a confiscare i beni dei rivali politici, primi fra tutti i Torelli ed i loro sostenitori; dall’altro, riuscirono ad acquisire un diretto controllo sui patrimoni ecclesiastici dell’area qualificandosi come patroni e avvocati dell’arcivescovato e dei principali monasteri locali, tra i quali la ricca abbazia di Pomposa.

Fu tramite queste terre che gli E. alimentarono con perseveranza un processo di infeudazione a favore dei loro partigiani o di quanti, fra gli avversarsi, fossero disposti ad abbondare i precedenti orientamenti ed abbracciare la causa famigliare. I fondi ecclesiastici che gli E. riuscirono nel corso dei secoli a distribuire furono tanto numerosi che, sul finire del Trecento, terre vescovili e monastiche costituivano una parte considerevole dei possedimenti dei laici ferraresi, modenesi e reggiani. Nel 1391 Alberto V ottenne che papa Bonifacio IX, attraverso apposita Bolla, riconoscesse a tutti i concessionari di terre soggette a qualsivoglia diritto alla Chiesa la piena disponibilità di quest’ultime, con licenza di vendita e successione. Indipendentemente dagli effetti di tale provvedimento, che di fatto sancì la piena allodizzazzione di tutte le terre concesse su sollecitazione estense, è evidente come la saldezza del regime estense si fosse fondata su mezzi di matrice chiaramente feudale, largamente impiegati per saldare alla fortuna del casato una vasta schiera di clienti.


Principali risorse documentarie:

La perdita della documentazione archivistica ferrarese a causa dell’incendio che distrusse nel 1385 le carte della camera actorum costringe le ricostruzioni dell’età precedente a fondarsi in modo massiccio sulle fonti cronachistiche. Una parziale integrazione è comunque garantita dai documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Modena, Archivio segreto Estense, Documenti riguardanti la casa e lo Stato.


Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

Fonti: Annales veteres Mutinensium, in Rer. Ital. Scrip.2, XI; Chronicon Estense, a cura di G. Bertoni – E.P. Vicini, in Rer. Ital. Scrip.2, XV, 3; Documenti per la storia delle relazioni diplomatiche fra Verona e Mantova nel secolo XIII, a cura di C. Cipolla, Milano, 1901; L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, Milano 1738-41; Id., Delle antichità estensi ed italiane, I, Modena, 1717; Riccobaldus Ferrariensis, Cronica parva Ferrariensis, a cura di G. Zanella, Ferrara, 1983; Rolandini Patavini, Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane, a cura di A. Bonardi, in Rer. Ital. Scrip.2, VIII, 1; Salimbene de Adam da Parma, Cronica, testo latino a cura di G. Scalia, traduzione di B. Rossi, Parma 2007; Statuta Ferrariae anno MCCLXXXVII, a cura di W. Montorsi, Ferrara, 1955.

Studi: A. Castagnetti, Società e politica a Ferrara dall’età postcarolingia alla signoria estense (secoli X-XIII), Bologna, 1988; T. Dean, Terra e potere a Ferrara nel Tardo Medioevo. Il dominio estense: 1350-1450, Modena-Ferrara, Deputazione di Storia Patria per le Antiche Province Modenesi, 1990; W.L. Gundersheimer, Ferrara Estense. Lo stile del Potere, Modena, Panini 1988; A. Lazzari, Origini della signoria estense a Ferrara, «Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria», n.s., X (1954); W. Montorsi, Considerazioni attorno al sorgere della signoria estense, «Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le antiche provincie modenesi», s. VIII, X (1959); E. Sestan, Le origini delle signorie cittadine: un problema storico esaurito, in Id., Italia medievale, Napoli, 1962; A.L. Trombetti Budrieri, La signoria estense dalle origini ai primi del Trecento: forme di potere e strutture economico-sociali, in Storia di Ferrara, V, Il basso medioevo, Ferrara 1987, pp. 159-198 A. Zorzi, Le signorie cittadine in Italia (secoli XIII-XV), Milano, 2010, pp. 40-45.


Membri della famiglia:

Note eventuali: