Ciccioni (Ciaccioni, Malpigli)


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Origine e profilo sociale:

Il lignaggio dei Ciccioni (o Malpigli, più antica forma cognominale ad esso associata nelle fonti) fu, assieme a quello dei Mangiadori, il più importante nella San Miniato di epoca comunale. Sebbene i primi riferimenti certi sulla famiglia datino ai primi del Duecento è praticamente certo che i Ciccioni abbiano rivestito un ruolo di primissimo piano all’interno della realtà locale già nel corso del XII secolo, in diretto contatto con i vicari imperiali (e con i loro entourage) residenti nel centro valdarnese. Lo sviluppo dell’autogoverno comunale, che a San Miniato si concretizzò in forme istituzionalmente definite con i primi decenni del XIII secolo, ricevette del resto una spinta decisiva proprio dall’appoggio attivo dei Ciccioni (così come dei rivali Mangiadori), testimoniata dalla presenza costante di membri del lignaggio ai vertici del giovane Comune e più in generale dalla partecipazione costante, e in posizione di rilievo, ai principali avvenimenti politici cittadini. In questa fase (come anche in seguito) la storia della famiglia tende per certi versi a sovrapporsi e identificarsi con la storia politica e istituzionale della città: l’adesione dei Ciccioni alla parte imperiale, ad esempio, si inserì nella più generale propensione del ceto dirigente samminiatese per lo schieramento di Federico e al tempo stesso in parte la condizionò, risultando nel complesso quanto mai salda e attiva (messer Arrigo di messer Malpiglio fu vicario imperiale a Poggibonsi nel 1242). Sul piano esterno, con l’affermazione generale della nuova figura istituzionale del Podestà, i Malpigli/Ciccioni si affermarono ben presto quale stirpe di ufficiali capaci e affidabili (di fatto rafforzando ulteriormente il proprio prestigio in patria), tanto da rappresentare sul lungo periodo uno dei principali lignaggi podestarili dell’intera Toscana. Emblematica dei diversi processi in atto ci appare in questo senso la figura di messer Malpiglio di Ranieri, che nella prima metà del Duecento fu Podestà a Treviso, Padova e Siena, esponente di spicco del seguito di Gebhard von Arnstein (legato di Federico e ultimo ufficiale imperiale nella rocca), e impegnato in prima persona nelle vicende samminiatesi.

In tale contesto, i grandi mutamenti politici della metà del secolo modificarono solo parzialmente la parabola politica e sociale dei Ciccioni. La morte di Federico II, la conseguente crisi dello schieramento ghibellino toscano, e il successivo graduale inserimento di San Miniato all’interno dell’orbita fiorentina non influirono sulle fortune della famiglia, che seppe anzi accreditarsi presso Firenze quale interlocutrice politica privilegiata, conservando al contempo intatti i legami e gli spazi di potere interni. A tal proposito, lo stesso passaggio dallo schieramento ghibellino a quello guelfo, nei fatti privo di particolari contraccolpi a livello locale, dimostra chiaramente la forte presa di quei legami e la profondità di quegli spazi. Neppure lo sviluppo anche a San Miniato intorno all’ultimo quarto del Duecento, di un’organizzazione popolare a imitazione di quella fiorentina servì in fin dei conti ad alterare le linee di fondo del quadro, anche se ebbe ripercussioni importanti a livello politico. L’introduzione di una legislazione di tipo antimagnatizio impedì ad esempio nello specifico l’accesso dei Ciccioni alle cariche di vertice del Comune, ma non servì a minare le basi del loro potere. Ciò emerse in maniera evidente nell’agosto del 1308, quando di fronte al tentativo del governo popolare samminiatese di inasprire ulteriormente tale legislazione esplose in maniera violenta la reazione dei magnati, guidati non a caso da Ciccioni e Mangiadori, che portò all’instaurazione del dominio signorile di Tedaldo Ciccioni e Barone Mangiadori.



Espansione territoriale della dominazione e suo sviluppo cronologico:

L’esperienza signorile dei Ciccioni fu circoscritta a San Minato ed al suo territorio.



Modalit? delle successioni:

L’acquisizione del potere da parte di Tedaldo Ciccioni fu direttamente legata al suo ruolo di leader del lignaggio. Le fonti in nostro possesso non riportano le circostanze che segnarono la fine dell’esperienza di dominio di Tedaldo (con ogni probabilità protrattasi per pochissimi anni), ma niente lascia supporre un suo eventuale prematuro avvicendamento al vertice del governo, o della famiglia.

Castelli e basi militari nel contado:

Fra le numerosissime proprietà fondiarie disseminate nel distretto samminiatese i Ciccioni disponevano anche di alcuni edifici (torri, case-forti e simili) utilizzabili in chiave militare. Dalle fonti non emerge l’impiego diretto di queste strutture nel corso delle vicende che portarono all’instaurazione del dominio signorile di Tedaldo né durante il periodo che lo vide al vertice del Comune. Più in generale, del resto, la ‘militarizzazione attiva’ dei possedimenti comitatini non pare aver rappresentato un’opzione centrale nella linea politica del lignaggio, almeno fino agli inizi del Trecento. La rilevanza di tali proprietà (anche in funzione latamente militare) ai fini della costruzione e del mantenimento della supremazia politica e sociale della famiglia appare comunque nel complesso significativa.


Risorse e iniziative economiche:

La principale risorsa economica del lignaggio fu senza dubbio il possesso fondiario. Pur nella diversità quantitativa e qualitativa dei riferimenti a seconda dei periodi e delle tipologie di beni in questione le fonti sono concordi nel tracciare il profilo di una famiglia dotata di un cospicuo patrimonio terriero (estremamente consistente anche all’interno delle mura castellane) e impegnata con costanza e continuità nella sua gestione. Ancora ai primi del Trecento i Ciccioni erano di gran lunga, assieme ai Mangiadori, i principali proprietari fondiari di San Miniato e possedevano numerosissimi appezzamenti situati un po’ in tutto il distretto consistenti tanto in semplici pezzi di terra quanto in poderi e complessi fondiari articolati. Parte dei beni gestiti dalla famiglia erano inoltre di origine ecclesiastica (detenuti in affitto dal Vescovo di Lucca, o utilizzati grazie alla presenza di esponenti familiari al vertice delle istituzioni ecclesiastiche locali), ed essi potevano vantare anche diritti di patronato su alcune chiese del territorio. Sempre nello stesso periodo, i Ciccioni risultavano inoltre proprietari di svariate abitazioni e botteghe in San Miniato, dall’affitto delle quali ricavano profitti consistenti. Appaiono nulle o quasi, invece, le testimonianze circa l’impegno della famiglia in attività di tipo commerciale: i riferimenti disponibili datano tutti al Trecento inoltrato, e sembrano indicare la partecipazione di singoli esponenti del lignaggio (messer Jacopo di messer Tedaldo; Tedaldo di Bindo) ad attività di tipo creditizio.


Principali risorse documentarie:

La documentazione relativa alla famiglia è conservata per lo più presso l’Archivio storico del Comune di San Miniato, nei fondi di derivazione comunale come nel Diplomatico, e presso l’Archivio di Stato di Firenze (Diplomatico e Notarile in particolare). Vari atti relativi a singoli esponenti del lignaggio sono inoltre rintracciabili presso numerosi archivi toscani (in primis quello di Siena) e non solo.


Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

Fonti: Regestum Senense. Regesten der Urkunden von Siena, a cura di F. Schneider, Roma, Loescher, 1911, ad indicem; G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Guanda, Parma, 1990-1991, ad indicem; Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco (1337), a cura di Francesco Salvestrini, Pisa, ETS, 1994; Ser Giovanni di Lemmo Armaleoni da Comugnori. Diario (1299-1319), a cura di V. Mazzoni, Firenze, Olschki, 2008; San Gimignano. Fonti e documenti per la storia del Comune. I, I Registri di entrata e uscita 1228-1233, a cura di O. Muzzi, Firenze, Olschki, 2008, pp. 14, 18-19.

Studi: G. Rondoni, Memorie storiche di San Miniato al Tedesco [1876], Bologna, Atesa, 1980; R. Davidsohn, Storia di Firenze [1896-1908], 8 voll., Sansoni, Firenze 1956-1965, ad indicem; G. Netto, I Podestà di Treviso medievale, 1176-1388, «Atti e memorie dell’ateneo di Treviso», 10, 1992-1993, pp. 7-62, pp. 27 e 47; P. Morelli, Pievi, castelli e comunità fra medioevo ed età moderna nei dintorni di San Miniato, in Le colline di San Miniato (Pisa). La natura e la storia, «Quaderni del Museo di storia naturale di Livorno», 14, 1995, pp. 79-112; F. Salvestrini, Società ed economia a San Miniato al Tedesco durante la prima metà del secolo XIV, in Id., Statuto del Comune di San Miniato – 1337, ETS, Pisa, 1995, pp. 7-25; F. Salvestrini, Castelli e inquadramento politico del territorio in bassa Valdelsa durante i secoli XI-XIII. L’area fra Montaione e San Miniato al Tededesco, in I castelli della Valdelsa. Storia e archeologia. Atti della giornata di studio (Gambassi Terme, 12 aprile 1997), «Miscellanea Storica della Valdelsa», XCVI, 1998, pp. 57-80, pp. 70-80; F. Salvestrini, San Miniato al Tedesco. L'evoluzione del ceto dirigente e i rapporti col potere fiorentino negli anni della conquista (1370 - ca. 1430), in Lo stato territoriale fiorentino, secolo XIV-XV, ricerche linguaggi confronti. Atti del seminario internazionale di studi, San Miniato 7-8 giugno 1996, a cura di A. Zorzi, W.J. Connell, Pisa, Pacini, 2001, pp. 532-540, pp. 531-535; V. Mazzoni, Le famiglie del ceto dirigente sanminiatese (secc. XIII-XIV). Prima parte, «Miscellanea Storica della Valdelsa», CXVI, 2010, pp. 167-251, pp. 179-234.


Membri della famiglia:

Note eventuali: