Fieschi


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Origine e profilo sociale:

Tipica famiglia di signori rurali, i F. rappresentano la stirpe più importante fra quelle discese dai conti di Lavagna, un ceppo documentato fin dal X secolo che affermò un potere signorile nella Liguria orientale, nel territorio di Sestri Levante e di Varese Ligure, grazie al legame con la famiglia marchionale degli Obertenghi. Il titolo pubblico comitale, in origine assunto arbitrariamente come segno di prestigio, compare per la prima volta nelle fonti nel 1128. È infatti nella prima metà del XII secolo che i lavagnini in ascesa riuscirono a imporsi su altri domini della zona, anche approfittando dell’attenuarsi dell’influenza obertenga e delle alterne vicende dei Malaspina. Si scontrarono però con gli interessi del Comune genovese in fase di espansione territoriale: sconfitti, dovettero accettare le condizioni imposte dai vincitori, fra le quali rientrava l’obbligo di risiedere in città per due mesi l’anno. Tentarono di liberarsi della soggezione genovese ricorrendo a Federico I, dal quale nel 1161 ricevettero un diploma che li rendeva feudatari diretti dell’Impero, legittimava il titolo, e consentiva loro di imporre pedaggi. La protezione imperiale non impedì tuttavia a Genova di sottometterli definitivamente. Per allentare i legami con il loro uomini e col territorio furono invogliati a stabilirsi in città con la concessione di terre e benefici e la possibilità di partecipare alle cariche di governo.

Negli stessi anni la famiglia mise in atto una strategia per estendere la propria influenza verso il levante ligure e per affermarsi in ambito urbano, dove scelsero di insediarsi nella zona di San Lorenzo. Fin dalla metà del secolo compaiono in posizioni di rilievo all’interno della gerarchia ecclesiastica genovese, e la presenza assidua all’interno dei ranghi della Chiesa sarà uno strumento di affermazione sociale caratteristico della dinastia fliscana che arriverà ben presto ad esercitare la sua influenza fino all’interno della Curia romana. Fondamentale, in questo senso, il controllo costante della diocesi di Brugnato, nella crezione della quale i conti di Lavagna ebbero forse un ruolo attivo grazie al cardinale Rubaldo. Un altro importante strumento di affermazione è rappresentato fin da subito dalle unioni matrimoniali (il capostipite Ugo de Flisco, così chiamato in riferimento alla gestione di attività economico-fiscali, aveva sposato una Grillo). Forse l’importanza della politica matrimoniale attuata dalla famiglia è stata un poco sopravvalutata, certo però tali alleanze furono sempre scelte con particolare attenzione dai membri del casato.

In pochi decenni i F. rientrarono nella cerchia esclusiva delle quatuor gentes (assieme ai Grimaldi, ai Doria e agli Spinola) che monopolizzavano le cariche pubbliche e la vita economica cittadina. Fin dal primo quarto del XIII secolo svolsero un ruolo di crescente rilievo nelle vicende politiche del Comune genovese. In questi anni la loro fortuna è legata alle carriere ecclesiastiche di Sinibaldo di Ugo (prima del 1190-1254, papa nel 1243 col nome di Innocenzo IV) e di suo nipote Ottobono di Tedisio (primi del XIII sec.-1276, papa nel 1276 col nome di Adriano V) e, più in generale, allo scontro fra Papato e Impero. La loro influenza in città crebbe con la scomparsa di Federico II, quando la protezione papale si poté attuare in maniera più efficace. Nello stesso periodo si impegnarono a costituire una signoria territoriale nell’estremo levante ligure e in Lunigiana di cui fu artefice Niccolò di Tedisio, fratello di Ottobono. Con la protezione dello zio pontefice, l’aiuto dei Malaspina e il tacito assenso del Comune genovese egli riuscì in pochi decenni a costituire un piccolo stato appenninico che controllava i punti nevralgici nelle comunicazioni fra la Pianura Padana e la Toscana, con un importante sbocco al mare nel golfo della Spezia.

Nella seconda metà del Duecento le fortune del casato si legarono all’alleanza con Carlo d’Angiò, che li portò allo scontro aperto con Genova e costò loro la perdita dei possedimenti in Lunigiana. Fra XIV e XV secolo l’esclusione dei nobili dai vertici politici cittadini non intaccò il prestigio e la ricchezza della famiglia, che continuò a piazzare i suoi membri agli alti livelli della gerarchia ecclesiastica (dalla metà del Trecento estesero la loro influenza fino alla diocesi di Vercelli, dove nell’arco di circa un secolo ricoprirono per quattro volte la carica vescovile) e a stringere legami matrimoniali con le più importanti famiglie genovesi, compresi gli Adorno (il doge Antoniotto e Carlo Fieschi erano consuoceri) e i Fregoso. La loro politica matrimoniale si prestò a consolidare la posizione genovese nel quadro politico internazionale potenziando contemporaneamente i loro stessi interessi. Rientrava, ad esempio, in questa logica il matrimonio tra la nipote di Adriano V, Isabella di Carlo, e Luchino Visconti celebrato nel 1331. Ma il principale punto di forza, nel lungo periodo di relativo distacco dalla vita pubblica cittadina, furono i feudi appenninici, dove i F. consolidarono la loro presenza non esitando a contrastare i tentativi di espansionismo della Repubblica.

In generale, il loro campo d’azione non fu mai limitato solamente a Genova o all’Appennino tosco-ligure poiché si proiettarono ben presto in una dimensione internazionale, anche al di fuori dell’estensione coloniale genovese.



Espansione territoriale della dominazione e suo sviluppo cronologico:

Il primo nucleo del patrimonio fondiario dei conti di Lavagna comprendeva possedimenti sparsi a macchia di leopardo in un territorio dell’Appennino ligure orientale delimitato a sud dall’entoterra costiero da Rapallo a Sestri Levante, risaliva lungo il torrente Entella fino alla sua confluenza con la Graveglia, proseguiva lungo il monte Coppello fino alle sorgenti della Vara e a Cassego, scendeva verso Varese Ligure e Groppo Marzo fino a Massasco. Da questi primi possedimenti, situati a cavallo fra la zona di influenza genovese e quella lunense, lungo importanti vie di comunicazione, i membri del ramo fliscano estesero il loro controllo alle zone circostanti. Si orientarono in particolare verso il Levante, tanto che già negli ultimi decenni del XII secolo appaiono proiettati verso Lucca: nel 1179 Ugo partecipava assieme alla spartizione del territorio di Castelvecchio assieme a due persone del posto e al vescovo lucchese.

Nel Duecento i F. erano profondamente radicati anche nella media e bassa Val di Vara. All’inizio del secolo si sostituirono ai signori di Lagneto e Celasco nello ius vicedominatus della diocesi di Brugnato, nella quale i membri della famiglia e del consorzio occupavano quasi costantemente le maggiori cariche ecclesiastiche. Verso la metà del secolo si allargarono verso la riviera occidentale giungendo a Mongiardino, nel castello di Parisione (Crocefieschi), a Savignone e su altre terre della valle Scrivia, come Torriglia. Sul fronte orientale l’influenza della famiglia giungeva fino alla val di Taro e a Parma, dove i F. sistemarono parecchi prelati e dove si sposarono diverse donne del casato. Negli stessi anni Niccolò di Tedisio estese la dominazione nello spezzino e in Lunigiana fino a Pontremoli. Nel 1252 riuscì ad ottenere in feudo dal vescovo di Luni i castelli di Tivegna, Castiglione Chiavarese, Bracelli e il borgo di Padivarma; l’anno successivo acquisì, ancora a detrimento del patrimonio della diocesi lunense, ciò che Matilde di Carpena teneva in feudo dallo stesso vescovo in Carpena, Vezzano, Vesigna e Follo. In questo modo controllava i castelli lungo la Vara fino alla confluenza con la Magra.

Negli anni Sessanta anche il fratello di Niccolò, Alberto, appare attivamente impegnato a mettere in atto le scelte politiche della famiglia e a sostenere i progetti temporali dello zio Innocenzo IV. Nel 1266 riuscì a recuperare il controllo di Pontremoli, il centro più importante dello stato fliscano, oggetto di ripetute contese da parte di signori locali. Ricevette la città da Oberto Pallavicino assieme al cugino Giacomo e a Isnardo Malaspina di Filattiera, poi nel 1268 i tre titolari consegnarono il castello e il borgo a Carlo d’Angiò, che ne reinvestì feudalmente i due F. L’autorità che Alberto riuscì ad esercitarvi era però così debole che nel 1273 l’Angioino intimò agli abitanti di non molestarlo. Non sappiamo fino a quando i F. mantennero il controllo di Pontremoli, che tra il 1280 e il 1288 risulta essere sotto il controllo di Parma. I membri della famiglia non smisero tuttavia di considerare la città un loro feudo, del quale rientreranno in possesso i figli di Niccolò all’inizio del Trecento (Carlo e fratelli, 1311-1321) e poi i loro discendenti nei primi decenni del Quattrocento (Gian Luigi assieme ai fratelli e al nipote, 1405-1431).

Con la morte di Ottobono (1276) l’ascesa dei F. subì una battuta di arresto che costò alla famiglia la perdita dei beni accumulati in Lunigiana. Dagli accordi relativi alla vendita dei territori sottomessi apprendiamo che la signoria di Niccolò si estendeva dalla costa spezzina all’interno fino ai valici dell’Appennino e comprendeva buona parte della Lunigiana su entrambi i versanti della Magra fino alla val di Taro. Di questo patrimonio riuscirono a mantenere il nucleo principale e lo ius vicedominatus sulla diocesi di Brugnato. Nel frattempo proseguì la loro espansione sui rilievi appenninici dove fra 1294 e 1310 acquistarono Grondona in Valle Spinti, importante punto di controllo sulle vie di transito verso la Pianura Padana. Infine, nel 1394 la presenza ormai consolidata nel vercellese li portò ad acquisire la signoria su Messerano e Crevalcuore.



Modalit? delle successioni:

Nella trasmissione del patrimonio cercarono di salvaguardare il vincolo dell’unità familiare. Quando si verificarono controversie riguardo all’esercizio dei diritti signorili fecero in modo di mantenere indiviso l’esercizio della sovranità, distribuendo eventualmente le funzioni di governo. Simili decisioni venivano prese con l’aiuto di arbitri e altri mediatori che intervenivano in via amichevole, scelti nell’ambito dei propri consorti.

Castelli e basi militari nel contado:

Niccolò di Tedisio organizzò il suo dominio configurandolo come un vero e proprio stato innanzitutto attraverso un’assidua opera di incastellamento. Molte delle località acquisite rivestivano importanza strategica e militare. La sua attività in questo senso si rivolse in particolare allo sviluppo del borgo della Spezia, un piccolo centro di pescatori adatto ad essere trasformato in base strategica. Qui promosse la costruzione della prima parte del castello attraverso la creazione un caposaldo fortificato su un preesistente presidio altomedievale. A Carpena, strategicamente molto importante, avviò l’edificazione di una torre nel 1273, dando origine a una controversia con gli antichi proprietari del terreno vicino al castello per risolvere la quale fu necessario l’intervento di Oberto Doria, Capitano del Comune di Genova. Un altro intervento lo compì a Vezzano nel 1276.

Dopo essere stati privati di Pontremoli e dei territori lunigianesi i F. si concentrarono sui loro territori in alta val di Vara, dove diedero impulso alla fondazione di Varese Ligure. Nel 1295 Genova intentò una causa contro di loro per indurli a riconoscere che il castello di Varese Ligure sorgeva su territorio genovese e per costringere gli abitanti a fornire prestazioni militari e a pagare le avarie (imposte dirette) come tutti i sottoposti al Comune; ai F. rimasero i diritti sugli uomini del borgo e delle pertinenze.


Risorse e iniziative economiche:

Fin dai primordi i conti di Lavagna tesero a controllare i passi appenninici nella Liguria orientale, trascurando le vie di comunicazione costiere. Il controllo delle strade e delle merci che vi transitavano costituiva il loro punto di forza e una delle fonti principali dei loro proventi, e fu sempre un’attitudine tipica dei F. Questi incrementarono le loro entrate anche attraverso la riscossione delle decime vescovile nella diocesi di Brugnato, di cui detenevano lo ius vicedominatus, mentre la presenza costante agli alti livelli della gerarchia ecclesiastica garantiva prebende e benefici. Parteciparono alle attività mercantili e bancarie attraverso affermate compagnie genovesi (Spinola, Doria, De Mari) e forestiere come quelle del banchiere senese Orlando Buonsignore e del piacentino Guglielmo Leccacorvo. Infine, godevano dell’esenzione fiscale concessa ai conti di Lavagna dall’Imperatore, e non esitarono a far valere questo diritto (e le successive conferme) ancora in pieno Trecento.

L’abilità nel mantenersi relativamente al di fuori delle lotte di fazione e ad intrecciare rapporti commerciali anche con le famiglie della parte avversa consentì loro di salvaguardare il patrimonio anche nei momenti politici più difficili.


Principali risorse documentarie:

Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

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Membri della famiglia:

Note eventuali: