Gambacorta, Pietro


di:
Estremi anagrafici:

1319 circa- 21 ottobre 1392



Durata cronologica della dominazione:

Pisa: 1370-1392



Espansione territoriale della dominazione:
Origine e profilo della famiglia:

Vedi scheda famigliare; Pietro era figlio di Andrea di Gherardo.


Titoli formali:

Capitaneus et dominus generalis masnadarum ab equo et pede pisani comunis habite et habende et custodie pisane civitatis eiusque comitatus fortie et districtus nec non defensor pisani populi et compagniarum ipsius populi, 23 settembre 1370.


Modalità di accesso al potere:

Pietro tornò a Pisa nel 1369, dopo essere stato per circa quindici anni in esilio. Egli era stato bandito dalla città nel 1355, all’indomani della cruenta fine del primo regime gambacortiano. Quest’ultimo si era chiuso con l’esecuzione dei cugini Francesco, Lotto e Bartolomeo. Pietro rientrò in città quando si erano da poco consumati due eventi decisivi per la storia pisana: la perdita del possesso di Lucca (1342-1369) e la fine del dogato di Giovanni Dell’Agnello. In quel frangente le istituzioni comunali erano controllate dalla Compagnia di San Michele. Era questa una associazione fondata da personaggi impegnati nella produzione e nel commercio della lana, ma che, grazie a un programma politico che mirava al superamento della lotta tra le fazioni e al ripristino di una regolare vita delle istituzioni comunali, aveva trovato ampio consenso tra la popolazione. Forte del sostegno della Compagnia e di Iacopo d’Appiano, ben introdotto nell’ amministrazione comunale, Pietro poté rientrare a Pisa nel febbraio del 1369. Per due mesi circa, egli fece proprio il programma moderato della Compagnia, della quale si professò aperto sostenitore. In aprile, tuttavia, in seguito ad alcuni tumulti, gli uomini di San Michele persero il controllo sulla vita politica locale, che tornò nelle mani dei Bergolini e di Pietro. Questi, però, per più di un anno, fino all’elezione a signore della città, non assunse alcuna carica, ma si limitò a controllare informalmente la vita locale, favorendo la pacificazione tra i cives.

Per l’ascesa della famiglia ai vertici della vita politica pisana cfr. scheda famiglia Gambacorta.


Legittimazioni:

Caratteristiche del sistema di governo:

Quando Pietro assurse ai vertici della vita politica locale, da diversi decenni anni ormai, dal 1285, dall’esperienza di potere di Ugolino della Gherardesca, a Pisa si sperimentavano forme di dominio personale. Ciò nonostante, la trama delle istituzioni disegnata dal «popolo» alla metà del XIII secolo non solo era ancora perfettamente visibile, ma era pienamente attiva, a fronte di alcune modifiche che erano state introdotte nel corso degli anni. Fulcro del potere e vertice istituzionale del Comune erano ancora i dodici Anziani del «popolo» (cfr. scheda Della Gheradesca, Gherardo), coadiuvati dalle commissioni di sapientes. Pietro, anche dopo essersi fregiato del titolo di capitaneus etc., controllò la vita politica locale attraverso una partecipazione assidua alle commissioni dei sapientes, alle quali presero parte anche suoi familiari, per primo il figlio Benedetto. Queste ultime, che ospitarono spesso gli uomini più vicini al dominus, non divennero mai un consiglio chiuso, ma rimasero sempre permeabili alla cooptazione degli uomini più adatti ad affrontare, di volta in volta, gli ordini del giorno che venivano lì presentati e discussi.

Il potere dei consigli civici - il consiglio maggiore e generale del Comune, il consiglio del senato e della credenza, il consiglio del «popolo» – era già stato fortemente ridimensionato. Nel 1358 era stato creato un nuovo consiglio, detto dei Quaranta savi, che aveva il compito di stabilire quali provvedimenti dovessero essere sottoposti al vaglio del consiglio del senato e della credenza. Il 17 ottobre del 1370 fu istituito il nuovo consiglio dei Settanta savi. Di quest’ultimo, ed è questa la sua peculiarità, avrebbero fatto parte di diritto tutti i priores antianorum che erano stati in carica nei due anni precedenti le sue convocazioni. In questo modo il Gambacorta avrebbe potuto contare su un’assemblea consiliare composta in larga maggioranza da uomini sicuri e fidati. Ciò era possibile grazie a una innovazione introdotta, o meglio reintrodotta da Pietro, perché era già stata sperimentata negli anni di dominio del padre Andrea: l’elezione degli Anziani per apodixas integras, ovvero scrivendo i nomi di un intero collegio bimestrale di Anziani in una unica polizza – da estrarre al momento delle elezioni degli Anziani - invece che i singoli nomi in polizze separate. Tale meccanismo permetteva la nomina di Anzianati, e dunque di priores – gli Anziani che coordinavano le attività di ogni singolo collegio anzianale - fedeli alle linee programmatiche portate avanti del regime al potere.

Tra le modifiche al sistema istituzionale varate al tempo del Gambacorta segnaliamo:

la sostituzione del conservator boni et pacifici status (creato nel 1322, cfr scheda Della Gherardesca, Ranieri) con un executor custodie dominorum anthianorum pisani populi, a partire dal 27 ottobre 1370;

il varo di due nuovi consolidamenti del debito pubblico, 1374, 1378;

l’imposizione di un estimo, 1371, 1379, 1386;

l’attribuzione (27 ottobre 1370) a Iacopo d’Appiano, cancelliere degli Anziani, di prerogative e poteri tali da consentirgli uno stretto controllo su tutta l’amministrazione comunale. Così facendo, Pietro e Iacopo perfezionarono il binomio dominus - cancelliere che era stato sperimentato quaranta anni prima da Bonifazio di Donoratico e Michele del Lante da Vico.


Sistemi di alleanza:

In politica estera l’alleanza con Firenze fu la caratteristica saliente della ventennale esperienza di dominio di Pietro. Ciò si tradusse in numerosi privilegi ed esenzioni, di natura economica e commerciale, concessi alla potente vicina e ai suoi mercanti. Quello stretto legame, tuttavia, non fece mai deflettere Pietro dalla posizione di neutralità tra i potentati italiani, sulla quale aveva condotto Pisa all’indomani della sua ascesa a dominus. Nel 1378, al tempo della guerra degli Otto santi, Pietro agì da mediatore tra Firenze e Gregorio XI. A distanza di dieci anni, si spese nuovamente in prima persona per cercare di arrivare a un accordo tra il Comune fiorentino e i Visconti di Milano.

Morta, nel 1381, la prima moglie, della quale non conosciamo il nome, Pietro sposò Oretta Doria.


Cariche politiche ricoperte in altre citt?:

Vicerettore di Campagna; Riformatore di Campagna (nominato da Urbano V il 17 giugno 1367).


Legami e controllo degli enti ecclesiastici, devozioni, culti religiosi:

Pietro Gambacorta, come gli altri esponenti della sua famiglia era legato alla chiesa di S. Francesco, presso la quale fu sepolto. La figlia Chiara fondò, all’inizio degli anni ottanta, il primo convento femminile dell’Osservanza domenicana. La ratifica dell’avvenuta fondazione fu sancita da una bolla di Urbano VI del settembre 1385. Il nipote Lotto, figlio di Gherardo di Andrea, fu nominato arcivescovo di Pisa nel 1381, quando aveva poco più di venti anni e soltanto gli ordini minori. Col crollo del regime dello zio, egli dovette abbandonare la città e nel 1394 Lotto fu destinato alla diocesi di Treviso. Suo fratello Ranieri fu nominato per alcuni anni rettore della rocca arcivescovile di Montevaso. Un terzo fratello, Carlo, fu canonico della cattedrale, mentre l’ultimo, Priamo fu Gran Maestro dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme e Priore dell’Ordine di S. Sepolcro in Pisa.


Politica urbanistica e monumentale:

Riguardo le testimonianze in tale ambito, valgono per Pietro Gambacorta le considerazioni formulate per il caso di Bonifazio Della Gherardesca. Anche il nome di Pietro, infatti, come quello di Bonifazio, è ricordato per alcune opere di abbellimento della città, in particolare il rifacimento del ponte Vecchio – l’attuale Ponte di Mezzo – i cui lavori durarono dal 1382 al 1387. Secondo la Cronica di Pisa, p.315, fu proprio Pietro a volere che il ponte fosse rifatto «tutto di pietre ad archivolte, cioè tre archi, per più bellessa». Tuttavia, come già accaduto per le opere pubbliche attribuite alla volontà del conte Bonifazio, non disponiamo di alcun atto pubblico che consenta di conoscere se, e in quale sede, Pietro manifestò il proprio interesse e il proprio volere riguardo tale progetto.


Politica culturale:

Consenso e dissensi:

Pietro beneficiò a lungo di un consenso ampio tra la popolazione. I venti e più anni di dominazione non furono segnati da congiure e scontri, come invece era accaduto in precedenza, fin dal tempo di dominio dei Donoratico. Non mancarono, specie all’inizio, tentativi da parte di Giovanni Dell’Agnello di riconquistare il potere. Tuttavia, l’appoggio di cui Pietro godette da parte delle più importanti famiglie nobili – Lanfranchi, Gualandi, Sismondi, le stesse che in precedenza avevano sostenuto il padre Andrea – e da parte del «popolo» – tanto i ceti inferiori quanto le famiglie eminenti, tra cui Agliata, Bonconti, Grassolini, nonché altre in ascesa in quegli anni – contribuirono a mantenere saldo e sicuro il suo regime. I dissensi più rilevanti maturarono negli ultimi anni di dominio, in concomitanza con l’acuirsi delle tensioni tra Firenze e i Visconti. Nonostante la linea neutrale scelta dal Gambacorta, la vicinanza politica al Comune fiorentino divenne, almeno dal 1389, il tallone di Achille di Pietro, l’oggetto di critiche e contestazioni, che provenivano anche e soprattutto dai suoi sostenitori. Di questo malcontento si fece interprete l’uomo che gli era stato, fino ad allora,più vicino, Iacopo d’Appiano, da molti ritenuto più incline, se non ad una alleanza aperta con i Visconti, quanto meno a una uscita di Pisa dalla sfera di influenza diretta di Firenze.


Giudizi dei contemporanei:

(Cfr. scheda Dell’Agnello, Giovanni) Le fonti cronistiche pisane della seconda metà del Trecento si caratterizzano per una sorta di neutralità rispetto ai numerosi cambi di regime che si succedettero in città. Non solo non troviamo giudizi di merito sull’avvento dei domini signorili, sul significato che l’innestarsi di poteri personali all’interno, o al di sopra, delle istituzioni comunali significò per queste ultime, ma sono pressoché assenti i giudizi sulle singole personalità. Fa eccezione un lungo capitolo, che l’anonimo estensore della Cronica di Pisa dedica alle figure del Doge e di Pietro. Il brano, [420] si intitola significativamente «Hora voglo dire un pogo della superbia delli fiorentini». Dopo aver tratteggiato il ritratto del Doge, il cronista passa a parlare di Pietro scrivendo come: «Avenne che poi messer Piero Ganbacorta col suo istato delli Berghulini ànno lo governo e reggimento di Pisa, come ditto è. E lo ditto messer Piero, avendo lo stato in del 1370 e rregimento di Pisa in mano, elli si è molto grande amico e citadino di Firense, ben ch’elli fusse anco pisano, ma elli era anima e corpo tutto delli fiorentini. Di ch’elli fecie alli fiorentini ogni vantaggio ch’ellino seppeno chiedere e dimandare, dando loro la carta biancha ch’ellino scrivesseno ogni patti ch’ellino volesseno. Elli ’l fecie liberi per senpre d’ogni gabella in Pisa, ellino ebeno ogni patto ch’elli seppeno chiedere e dimandare. Che sse lli pisani fusseno stati loro schiavi sarebbe vasta<to> a q<u>ello che lli fiorentini ànno avuto dal ditto messer Piero. Di che, avendo questo, li fiorentini montonno in grande altura per lo grande apoggio e vantaggio ch’ellino ebeno da li pisani. Ellino preseno al soldo lo ditto messer Giovanni Autti con tutti li ’nghilesi, li quali avea inprima lo Dogio di Pisa. Ellino ma<n>tteneano e mantegnano | le conpagne in Toschana e fannole riconprare. Ellino in del tenpo di messer Piero Ganbacorta, che resse Pisa pió di vintidue anni con grande affanni di conpagne, che tutto ’l tenpo ch’elli resse Pisa, Pisa si riconprò da molte conpagne che venneno in sullo contado di Pisa, le quale conpagne mandavano li fiorentini dicendo e schuzandosi ch’ellino non erano corpevvili; ma chiaramente si sapea ch’ellino li soldavano. E questo facieano per conssumare li loro vicini e per sottometterli, e none erano cognoscienti di quello che aveano dalli pisani. E messer Piero Ganbacorta n’era sìe acciecato di loro, ch’elli li schuzava e conssetia loro ogni cosa, intanto che alla fine ne capitò male elli e lli suoi figluoli, che ffunno morti a furore di popolo. E cci arebbe a contare troppo della superbia delli fiorentini, che sarebbe troppo grande libro, e però lasso per ora qui».


Fine della dominazione:

Come accennato in precedenza la causa principale, l’origine del declino della signoria di Pietro fu la ripresa del conflitto tra Firenze e i Visconti, tra la fine del 1389 e l’inizio del 1390. In tale contesto, prese forza a Pisa un partito filovisconteo che, tra gli altri, annoverava Iacopo d’Appiano. Il 21 ottobre del 1392, con un vero e proprio colpo di stato che portò al potere il d’Appiano, dopo che i sostenitori di Pietro e quelli di Iacopo si erano fronteggiati armati lungo le vie della città, Pietro e due suoi figli furono uccisi, proprio su quel Ponte di Mezzo del quale, probabilmente, il Gambacorta aveva voluto il rifacimento.


Principali risorse documentarie:

Archivio di Stato di Pisa, Comune, Divisione A, 24, 38-41, 66-72, 74, 144-175, 197, 208-211; Archivio di Stato di Firenze, Consulte e Pratiche, 3.


Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

Fonti: Cronica di Pisa. Dal ms. Roncioni 338 dell’Archivio di Stato di Pisa. Edizione e commento, a cura di C. Iannella, Roma 2005 (Fonti per la storia dell’Italia medievale, Antiquitates, 22).

Studi: P. Silva, Il governo di Pietro Gambacorta in Pisa e le sue relazioni col resto della Toscana e coi Visconti, Pisa, 1910; L.  Pagliai, Il Ponte Nuovo donato a Pietro Gambacorta ed al Comune pisano nel 1382, in Bullettino pisano di arte e storia, 1913, pp. 57-80; E. Cristiani, Le più antiche proprietà fondiarie dei Gambacorta, in Studi in onore di A. Fanfani, II, Milano 1962, pp. 385-406; O. Banti, Iacopo d’Appiano. Economia, società e politica del Comune di Pisa al suo tramonto (1392-1399), Livorno 1971; R. Pauler, La signoria dell’ Imperatore. Pisa e l’impero  al tempo di Carlo IV (1354-1369), Pisa 1995; F. Ragone, Gambacorta Pietro, in Dizionario Biografico degli italiani, vol. LII; M. Tangheroni, Politica, commercio e agricoltura a Pisa nel Trecento, Pisa 2002, (1ª ed. 1973); A. Poloni, Trasformazioni della società e mutamenti delle forme politiche in un Comune italiano: il Popolo a Pisa (1220-1330), Pisa 2004; G. Ciccaglioni, Conservator boni et pacifici status. Alcune osservazioni sugli equilibri politico istituzionali a Pisa nel Trecento, in C. Iannella (ed.). Per Marco Tangheroni. Studi su Pisa e sul Mediterraneo medievale offerti dai suoi ultimi allievi. Pisa 2005.


Apporti nuovi di conoscenza:

Note eventuali: