Malatesta, Pandolfo III


di:
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Estremi anagrafici:

1370 gennaio 2 – 1427 ottobre.



Durata cronologica della dominazione:

-Fano, 1385-1427 ottobre;

-Sansepolcro (già Borgo san Sepolcro), 1400 post agosto 15 -1427 ottobre;

-Brescia, 1404-1421;

-Bergamo, 1408 luglio -1419 luglio 24;

-Lecco, 1408-?.



Espansione territoriale della dominazione:
Origine e profilo della famiglia:

Vedi scheda famigliare. P. era figlio di Galeotto Malatesta.


Titoli formali:

Vicario generale in temporalibus per la S. Sede di Rimini, Cesena, Fano e Fossombrone insieme ai fratelli Carlo, Andrea e Galeotto Novello; dominus di Brescia, Bergamo, Sansepolcro.


Modalità di accesso al potere:

Pandolfo esercitava la signoria su Fano in seguito a una divisione informale dei domini familiari tra i tre figli di Galeotto Malatesta, che detenevano collegialmente il titolo di vicari apostolici su Rimini, Cesena, Fano e Fossombrone.  Alla morte senza discendenti diretti di Galeotto Belfiore, titolare del dominio su Sansepolcro, quest’ultimo passò al fratello maggiore Pandolfo. Il M. aveva più volte prestato servizio come condottiero al soldo di Gian Galeazzo Visconti. Alla morte improvvisa del Duca di Milano, nel 1402, fu in prima linea tra coloro, condottieri ingaggiati dal Visconti stesso e capifazione delle varie città del ducato, che tentarono di approfittare del vuoto di potere creato dalla minorità del figlio di Gian Galeazzo e delle lotte di potere interne alla corte. Nel 1404 la reggente Caterina Visconti, che doveva grosse somme a Pandolfo per i suoi servizi militari, gli cedette in pegno la città di Brescia, che avrebbe dovuto essere restituita quando i  Visconti fossero stati in grado di pagare il M. Quest’ultimo tuttavia non rispettò l’accordo, e anzi fece di Brescia la testa di ponte per la costruzione di un più ampio dominio in Lombardia.  Approfittando tanto del caos che regnava nel ducato, dove imperversavano i condottieri e le influenze più svariate si alternavano nell’animo dell’incostante Giovanni Maria, quanto soprattutto dello stato di guerra civile che aveva prostrato Bergamo e il suo contado, senza che alcuna delle fazioni riuscisse a prendere decisamente il sopravvento, il M. incominciò una campagna militare che gli permise di occupare buona parte del contado bergamasco riuscendo infine nel 1408 ad ottenere la cessione della città da parte dei Suardi, momentaneamente prevalenti a Bergamo, in cambio di un indennizzo di 25.000 ducati d'oro. Sull’onda del successo per la capitolazione di Bergamo, le truppe malatestiane occuparono poco dopo anche Lecco, che fu tuttavia tenuta solo pochi mesi; negli anni successivi avvennero nuove riconquiste fino a che l’accesso alla zona lariana non fu interdetto al M. dalla sconfitta occorsa a Olginate nel 1417. Bisogna comunque sottolineare che né nel caso di Brescia né in quello di Bergamo l’acquisizione del dominio sulla città significò automaticamente il controllo dei due distretti, che anzi dovettero essere conquistati palmo a palmo, sconfiggendo militarmente i personaggi, variamente legati ai Visconti, che perseguivano autonomi progetti di potere nell’area, ma anche vincendo le resistenze delle popolazioni locali. I territori di Bergamo e  Brescia erano in buona parte composti da valli montane, che ponevano problemi di controllo del tutto particolari. La Val Camonica, in gran parte fedele ai Visconti, oppose una strenua resistenza a Pandolfo, che riuscì a integrarla definitivamente nel proprio dominio solo nel 1414, dieci anni dopo l’acquisizione di Brescia .


Legittimazioni:

Dal punto di vista formale, Pandolfo detenne il titolo di vicario apostolico su tutti i domini familiari insieme ai fratelli Carlo, Andrea e Galeotto Novello. In un momento indeterminato dopo il 1385 i quattro fratelli si spartirono le aree di influenza. La divisione non fu riconosciuta formalmente dalla concessione di vicariati separati, anche se il papa mostra di tenere conto della distinzione delle sfere di competenza negli atti indirizzati ai Malatesta. Il 3 gennaio del 1391 Bonifacio IX confermò ai figli di Galeotto il vicariato su Rimini, Fano e Fossombrone, estendendone la durata a due generazioni: il vicariato, cioè, fu concesso ai quattro fratelli e ai loro figli maschi, legittimi e naturali.

Già riconosciuto signore di Brescia per concessione ducale, il M. ottenne nel giugno 1408 una lettera ducale che lo autorizzava a prendere il controllo di Bergamo, sempre per conto del duca, che tuttavia al momento non controllava la città.

Il principale strumento di legittimazione e consolidamento del dominio utilizzato da Pandolfo furono però i cosiddetti capitoli, gli accordi di carattere pattizio che il M. concluse con una grande varietà di comunità: città, castelli, borghi di pianura, valli, comuni rurali. I capitoli, elaborati dalla comunità e proposti al signore, che li accoglieva o ne modificava i punti controversi, regolavano i rapporti giurisdizionali, fiscali ed economici tra il M. e la comunità, e soprattutto, nel caso delle comunità rurali, tra queste e la città. Analogamente, nei confronti di individui e famiglie dotati di qualche forma di potere locale Pandolfo adottò una politica di ampia concessione di privilegi, soprattutto di natura fiscale. Questi strumenti gli consentirono di legittimare e di dare una base, anche giuridica, più salda a un dominio che di fatto si basava sulla conquista militare. Del resto, non sembra che il dominio di Pandolfo su Lecco e  Sansepolcro abbia in alcun modo ottenuto una legittimazione formale.


Caratteristiche del sistema di governo:

Le forme di esercizio della signoria di Pandolfo su Fano erano del tutto analoghe a quelle messe in opera nelle altre città malatestiane. Il podestà veniva ormai nominato dal signore, anche se continuava a giurare sugli statuti e rimaneva in carica, come da prescrizioni statutarie, sei o al massimo dodici mesi. I Malatesta avevano introdotto un’altra figura, il vicarius domini super appellationibus, al quale era attribuita una sfera di competenze tanto ampia quanto poco definita, e che di fatto svolgeva la funzione di rappresentante del signore nel governo cittadino quando Pandolfo era lontano. I vicari, a differenza del podestà, rimanevano anche in carica per più anni di seguito, perché il fondamento del loro ruolo era la fedeltà al M. Le finanze e la fiscalità cittadina erano gestite dalla camera signorile, che aveva del tutto soppiantato la tesoreria comunale, e che era guidata dal referendarius domini, una figura che concentrava notevoli poteri, ed era dunque anch’essa scelta nella ristretta cerchia dei fedeli malatestiani, senza alcun limite alla durata dell’incarico: Molduccio dei Boccacci da Meldola fu referendario dal 1406 al 1424. Le istanze della comunità cittadina si esprimevano nei consigli, che nel 1405, su richiesta della città stessa, furono completamente riformati. Al consiglio generale, composto da 100 membri, fu affiancato un consiglio speciale, detto dei 33, che ottenne uno spazio maggiore nell’attività di governo e divenne di fatto la cerniera fra il comune e la signoria, affiancando costantemente i funzionari nominati dal signore.

La signoria su Brescia e su Bergamo si appoggiava a una struttura sostanzialmente molto simile a quella descritta per Fano, articolata in un podestà e un vicario, entrambi di nomina signorile, e molto spesso reclutati nel gruppo dirigente di Fano, o dei domini romagnoli e marchigiani dei Malatesta. Tra le figure di vertice delle due camere signorili, a partire dai referendari e dai tesorieri, si nota invece una forte presenza di fiorentini, e toscani in genere. Le pressanti necessità finanziarie del M. lo spinsero probabilmente a privilegiare, per questi delicati incarichi, la competenza e l’esperienza contabile invece della sola fedeltà. In effetti la gestione della contabilità dei domini lombardi di Pandolfo, che ci è nota grazie alla conservazione di diversi registri, appare particolarmente raffinata. Poco sappiamo invece del funzionamento degli organi politici dei comuni di Brescia e di Bergamo, consigli e anziani, che certamente non furono soppressi. Si è conservata tuttavia una riforma del sistema di elezione e delle competenze degli anziani di Brescia, approvata nel 1418. Gli anziani dovevano essere eletti dal basso, uno per quadra, le ripartizioni topografiche della città. Le loro prerogative, però, erano drasticamente limitate rispetto ai poteri generalmente esercitati da magistrature simili nei comuni cittadini due e trecenteschi. Di fatto, essi erano incaricati di un capillare controllo fiscale, dovevano cioè garantire il regolare afflusso nelle casse signorili delle imposte dirette e indirette dovute dai residenti nella loro quadra. Ciò da una parte conferma la forte prevalenza delle preoccupazioni finanziarie, e il particolare sviluppo delle strutture fiscali; dall’altra, suggerisce l’idea di un sostanziale svuotamento di significato degli spazi politici ereditati dall’età comunale.

Del tutto originale fu invece l’istituzione a Bergamo della magistratura dei commissari. Composta da due cittadini, scelti all’interno del gruppo dirigente cittadino, che rimanevano in carica per sei mesi, il suo compito era quello di accelerare la chiusura dei contenziosi giudiziari, favorendo la conclusione di pacificazioni tra le parti in lite. Questa misura si comprende tenendo conto del fatto che Bergamo e il suo territorio erano stati sconvolti nei decenni precedenti da lotte di fazione di eccezionale violenza. L’istituzione dei commissari consentiva di coinvolgere i personaggi più in vista del patriziato cittadino, avvicinandoli al M., e allo stesso tempo legittimava il potere di Pandolfo promuovendone l’immagine di signore super partes capace di riportare la pace. La stessa magistratura fu introdotta anche a Brescia, anche se ha lasciato meno tracce.

Parzialmente diverso il discorso per il contado in genere e le valli in particolare, data la forza estrinseca delle comunità ivi organizzate. Pandolfo fu piuttosto largo nel riconoscere ampi privilegi alle valli e alle famiglie nobili residenti nel contado, che delle valli stesse erano sovente compenenti essenziali. In generale furono rispettati gli equilibri esistenti.

A Sansepolcro Pandolfo non introdusse alcuna modificazione di rilievo nella prassi di governo consolidata dal padre e dai fratelli, anche se sotto il suo dominio iniziò ad agire un collegio ristretto, i Quattro Officiali per il bene pubblico, che si sarebbe poi consolidato solo nel 1436, con il nuovo nome di Magnifici Conservatori.

Data l’assoluta carenza di fonti non siamo informati sul genere di governo impostato durante la breve dominazione di Lecco; i registri finanziari del signore menzionano solo l’esistenza di un capitano militare a guardia del ponte di Lecco, posizione strategica di notevole rilevanza.


Sistemi di alleanza:

Più dei suoi predecessori il M. si trovò attivo nello schieramento guelfo, cosa che in centro Italia si traduceva in una buona intesa con il papato, mentre nel nord voleva dire il coinvolgimento di Pandolfo nelle lotte di potere interne alla corte viscontea, soprattutto durante il debole governo di Giovanni Maria. A Bergamo tuttavia il sostanziale equilibrio cercato dal M. gli fu rinfacciato proprio dalla parte guelfa, che sperava in favori più marcati.

Strategica per Pandolfo fu soprattutto l’alleanza con Venezia, che lo scelse come interlocutore principale durante la crisi del potere visconteo. Quando però, dal 1415, Filippo Maria Visconti, uscito vincitore dalle lotte per la successione, mostrò di essere ben determinato a riconquistare il controllo dei territori persi dalla dinastia milanese dopo il 1402, Venezia reputò più conveniente non entrare in contrasto con colui che si dimostrava in grado di arginare la sua espansione in terraferma. I veneziani quindi non appoggiarono Pandolfo, e il loro mancato impegno fu una delle ragioni della sua sconfitta.

Nel 1388 Pandolfo sposò Paola Bianca, figlia del congiunto Pandolfo (II) Malatesta, signore di Pesaro, morta nel 1398. Nel 1421 egli sposò Antonia figlia di Rodolfo da Varano signore di Camerino – appartenente alla stessa famiglia della madre del M., Gentile – e dopo la morte di questa, nel 1427, si unì a Margherita Anna dei conti Guidi di Poppi. Dalle tre mogli non ebbe figli; lasciò però tre figli naturali, Galeotto Roberto, Sigismondo Pandolfo e Domenico, destinati ad accogliere la successione dei domini malatestiani.


Cariche politiche ricoperte in altre citt?:

Pandolfo combatté in più occasioni per papa Benedetto IX, che nel 1397 lo nominò capitano generale delle truppe della chiesa e rettore del Ducato di Spoleto. Fino al 1402 il M. prestò più volte servizio come condottiero al soldo dei Visconti. Negli anni successivi mise le proprie competenze militari soprattutto al servizio di Venezia; tra il 1412 e il 1414 fu ininterrottamente capitano generale delle truppe veneziane.


Legami e controllo degli enti ecclesiastici, devozioni, culti religiosi:

Nel 1413 il M. riuscì a ottenere la designazione a vescovo di Brescia di un suo congiunto – e omonimo –, il bolognese Pandolfo Malatesta. Nel 1418 tuttavia il nuovo papa Martino V sostituì il vescovo Malatesta con un suo fedele, Francesco Marerio.

La documentazione bergamasca suggerisce che l’intervento del M. nella sfera ecclesiastica dovette essere pesante. All’inizio della sua signoria su Bergamo Pandolfo emanò un decreto che sottoponeva la richiesta dei benefici eccelsiastici a Roma al suo benestare. È probabile che una simile politica di controllo dei benefici fosse perseguita anche a Brescia.


Politica urbanistica e monumentale:

Brescia fu il centro dei domini lombardi di Pandolfo e la sede della sua corte. Egli si insediò nel Broletto, l’antico palazzo del comune, che fu sottoposto a vasti interventi di trasformazione e di adattamento per assumere l’aspetto di una lussuosa dimora signorile. Al piano nobile del palazzo il M. fece costruire una cappella che nel Quattrocento era celebre in tutta Italia per la sua bellezza e ricchezza. La decorazione fu affidata a Gentile da Fabriano, che Pandolfo aveva probabilmente contattato a Venezia durante il suo impegno militare al servizio della città lagunare. Secondo il veneziano Martin Sanudo la cappella, ornata con fregi preziosi, sarebbe costata la cifra esorbitante di 14.000 ducati. Degli affreschi di Gentile da Fabriano e della sua bottega sono rimasti ad oggi soltanto i frammenti di due lunette. Nei lavori per il palazzo del Broletto furono attivi anche altri pittori, il bresciano Bartolino Testorino, Giacomo da Milano e alcuni artisti cremonesi

Anche a Fano Pandolfo fece edificare un nuovo palazzo degno del suo prestigio. La città marchigiana, ma anche gli altri centri dei territori malatestiani, presentano per questa fase una forte concentrazione di opere di giovani di formazione veneziana che avevano lavorato nella bottega di Gentile da Fabriano. Il M. e il fratello Carlo avevano probabilmente conosciuto questi artisti in occasione della decorazione della cappella del Broletto, e in seguito commissionarono loro vari dipinti. A Fano fu attivo in particolare Michele Giambono.

Una notizia non confermata dalle fonti vorrebbe che Pandolfo a Bergamo si adoperasse per il restauro della cittadella viscontea, probabilmente danneggiata nella guerra civile.


Politica culturale:

Come attestano i registri contabili, che riportano le spese affrontate per il costoso stile di vita del signore, Pandolfo insediò a Brescia una corte sfarzosa, nella quale furono attivi sarti, gioiellieri, musici, copisti, miniatori e artisti di ogni genere e di ogni provenienza. Sappiamo anche che il M., come altri membri della sua famiglia, fu un bibliofilo. Della sua biblioteca ci è giunto soltanto un codice finemente miniato del De Civitate Dei di Sant’Agostino, conservato presso la Biblioteca Gambalunghiana di Rimini.


Consenso e dissensi:

A Sansepolcro sulle prime, come per gli altri esponenti della famiglia, il consenso popolare al governo di Pandolfo fu piuttosto alto; nel 1418 tuttavia a Sansepolcro si ebbe una rivolta istigata dal partito avverso a quello malatestiano, che fu però repressa in loco, senza interventi del signore. Il M., su consiglio del fratello Carlo, fu piuttosto largo nel concedere ai propri sostenitori i beni confiscati ai ribelli, cercando dunque di riguadagnare il consenso perduto.

Non ostante qualche dissapore con la sua stessa parte (come detto), a Bergamo Pandolfo riscosse un discreto consenso, mentre nelle valli dovette trattare di volta in volta gli accordi con le comunità, assicurandosi tuttavia una fedeltà malcerta, almeno in alcuni casi.

A Lecco non abbiamo notizie in proposito.


Giudizi dei contemporanei:

L’unico ritratto di Pandolfo giunto fino a noi si deve ad Enea Silvio Piccolomini, il papa umanista Pio II. Il giudizio fortemente negativo deriva dall’ostilità nei confronti del figlio del M., Sigismondo Pandolfo, grande nemico del papa: «[Pandolfo] non ebbe mai in gran conto né l’onestà né la religione….In guerra era pauroso e pronto alla fuga, fra i suoi sempre ubriaco e insolente e menava la vita dissoluta di uno scandaloso lenone in mezzo a prostitute. Quando divenne vecchio e incapace di soddisfare la libidine come desiderava, si faceva condurre femmine nude e adolescenti perché si accoppiassero, onde stimolare alla vista di quelli degli altri i suoi coiti. Tra le prostitute di cui spesso abusava ce n’era una di notevole bellezza, che egli amava più delle altre. Quando ormai vecchio non poté più soddisfarla, fece venire, perché prendesse il suo posto, …Marchesino da Bergamo….., nel fiore degli anni e dai costumi di buffone; affiancò così un concubino alla sua concubina e spesso gli concesse di dormire come terzo fra lui e la sua meretrice» (E. S. Piccolomini, I Commentarii (nella traduzione di L. Totaro), vedi bibliografia). Un ritratto a tinte forti che tuttavia rimanda all’amore per lo sfarzo e i piaceri della vita di corte, riconosciuti come tratti caratteristici di Pandolfo dai suoi contemporanei.


Fine della dominazione:

Bergamo e Brescia furono recuperate da Filippo Maria Visconti, che in pochi anni riuscì a ricostruire lo stato visconteo disgregatosi dopo il 1402, con il contributo fondamentale del condottiero Vincenzo Bussone, detto il Carmagnola, da lui ingaggiato. Dopo una fulminea campagna militare, il Carmagnola occupò Bergamo nel luglio del 1419. Pandolfo tentò inutilmente di coinvolgere Venezia nella difesa di Brescia; il 15 marzo del 1421 fu costretto ad arrendersi al condottiero e ad accettare di consegnare la città in cambio di un indennizzo di 34.000 fiorini d’oro.

Il M. si ritirò allora a Fano, dove continuò a esercitare la signoria su quel centro e su Sansepolcro  fino alla morte, avvenuta nell’ottobre del 1427.

Per Lecco non sono disponibili indicazioni sufficienti a stabilire la durata effettiva della signoria che dovette conoscere comunque fasi alterne.


Principali risorse documentarie:

Presso la Sezione di Archivio di Stato di Fano si conservano 112 registri relativi alla signoria dei Malatesta, noti con la denominazione di Codici malatestiani. Essi contengono informazioni preziose sulle forme del potere esercitato dalla famiglia sulla città marchigiana. I registri contrassegnati con i numeri 40-68 sono tuttavia stati prodotti nell’ambito della camera signorile di Brescia tra il 1405 e il 1421. Si tratta in tutti i casi di registri contabili, dai quali emerge la figura del potente tesoriere malatestiano di Brescia, il fiorentino Gioacchino Malagonella.

Per quanto riguarda la signoria su Bergamo, la documentazione è conservata principalmente presso la Biblioteca Civica “Angelo Mai” di Bergamo. Si tratta innanzitutto di un registro di missive del 1410, ora edito (I «Registri litterarum», vedi bibliografia). Ad esso si aggiungono un certo numero di capitoli e privilegi concessi a comunità rurali e singole famiglie, e un registro di mandati di pagamento del tesoriere di Bergamo per l’anno 1414 (indicato con la segnatura FM AB 271). L’Archivio di Stato di Bergamo ha un ricco archivio notarile nel quale si trovano diversi cartulari che documentano la vita economica e sociale della città negli anni di Pandolfo. Per il dominio su sansepolcro si segnalano invece i pezzi archivistici conservati presso l'Archivio Storico Civico di Sansepolcro, Serie XVIII, n. 1 (Libro Rosso o del Ben Commune) e quelli dell' Archivio di Stato di Firenze, Notarile Antecosimiano, nn. 7006-7, 19281-9.


Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

Fonti:  Cronache malatestiane dei secoli XIV e XV, a cura di A. F. Massera, in RIS2, XV, 2, Bologna [s. d.]; B. Branchi, Cronaca malatestiana, a cura di A. F. Massera, ibid.; T. Borghi, Continuatio cronice…de Malatestis, a cura di A. F. Massera, ibid.; Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II, I Commentarii, edizione a cura di L. Totaro, Milano 1984, pp. 1909-1911; I «Registri litterarum» di Bergamo (1363-1410). Il carteggio dei signori di Bergamo, a cura di P. Mainoni – A. Sala, Milano 2003; G.P.G. Scharf, Mestieri antichi. Il ruolo economico e sociale dei calzolai a Sansepolcro fra Tre e Quattrocento, in "Appennino rurale. Memoria, arte, istituzioni", Quaderno IV/2004 dell'Istituto di Studi e Ricerche della Civiltà appenninica, pp. 91-99; Id., Pandolfo III e gli ebrei di Sansepolcro, in corso di stampa; Id., La signoria malatestiana a Bergamo, in La signoria di Pandolfo III Malatesti a Brescia, Bergamo e Lecco, a cura di G. Bonfiglio-Dosio e A. Falcioni, con una premessa di A.K. Isaacs, nella collana "Le signorie dei Malatesti", VIII, Centro Studi Malatestiani, Bruno Ghigi Editore, Rimini 2000, pp. 435-496; I Registri litterarum di Bergamo, 1363-1410: il carteggio dei signori di Bergamo, a cura di P. Mainoni e A. Sala, Milano, Unicopli, 2003.

Studi:

F. Odorici, Storie bresciane dai primi tempi sino all’età nostra, VII-VIII, Brescia 1957-1958 (ed. orig. 1857-1858); L. Tonini, Della storia civile e sacra riminese, V, Rimini nella signoria de’ Malatesti, I, Rimini 1882; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi, 8 voll., III, Bergamo 1989 (ed. orig. 1943); G. Franceschini, I Malatesta, Varese 1973; P. Jones, The Malatesta of Rimini and the Papal State. A Political History, Cambridge 1974; G. Bonfiglio Dosio, Pandolfo III Malatesti bibliofilo, in «Italia medioevale e umanistica», XX (1977), pp. 401-406; M. Tabanelli, Pandolfo III Malatesta signore di Brescia e Bergamo, Brescia 1978; D. Brivio, Pandolfo Malatesta signore di Lecco, Lecco 1982; Atti della Giornata di studi malatestiani di Brescia, Rimini 1989; La signoria di Pandolfo III Malatesti a Brescia, Bergamo e Lecco, a cura di G. Bonfiglio-Dosio e A. Falcioni, con una premessa di A.K. Isaacs, nella collana "Le signorie dei Malatesti", VIII, Centro Studi Malatestiani, Bruno Ghigi Editore, Rimini 2000; Le arti figurative nelle corti dei Malatesti, a cura di L. Bellosi, Rimini 2002; A. Falcioni, Brescia, in Gentile da Fabriano. Studi e ricerche, a cura di A. De Marchi – L. Laureati – L. Mochi Onori, Milano 2006; A. Falcioni, Pandolfo Malatesta, voce del DBI; G.P. G.Scharf, Pandolfo III e gli ebrei, cit.; Id., Faziosità cittadina e buon governo malatestiano: la rivolta di Sansepolcro e il ruolo di Carlo Malatesti, in La signoria di Carlo Malatesti (1385-1429), a cura di A. Falcioni, con una premessa di A. Vasina, nella collana "Le signorie dei Malatesti", XII, Centro Studi Malatestiani, Bruno Ghigi Editore, Rimini 2001, pp. 347-361; Id., La signoria malatestiana, cit.


Apporti nuovi di conoscenza:

Note eventuali:

Le informazioni su Bergamo e Fano sono state curate congiuntamente da A. Poloni e G.P.G. Scharf; quelle su Fano e Brescia sono state curate da A. Poloni; quelle su Sansepolcro e Lecco da G.P.G. Scharf.