Teodoro I Paleologo


di:
Estremi anagrafici:

1291-1338



Durata cronologica della dominazione:

1306-1338



Espansione territoriale della dominazione:

al suo arrivo in Italia T. prese possesso dei suoi domini ereditari, collocati fra le Langhe, il Monferrato, il Vercellese e il Canavese, territorio nel quale si incontrano sia città episcopali sia centri a vocazione urbana. Inizialmente il marchese stabilì la propria residenza a Casale, ma dopo la dedizione di Chivasso, nel dicembre del 1306, T. spostò la residenza della sua corte in questa città, facendola diventare una sorta di capitale del dominio paleologo.

Origine e profilo della famiglia:

vd. scheda Paleologi di Monferrato


Titoli formali:

fin dal suo primo atto di governo – l’invito rivolto a tutte le comunità e ai nobili del marchesato di prestagli il giuramento di fedeltà – si titolò: “Theodorus excellentissimi imperatoris Greacorum filius porphyrogenitus, Comninus, Palaeologus, Dei gratia marchio Montisferrati”. Nel 1310 l’Imperatore Enrico VII, ad Asti, investì T. “de toto marchionatu Montisferrati”. Nel 1328 divenne dominus di Vercelli e nel 1330 ottenne anche il vicariato sulla città, grazie alla nomina ottenuta da Giovanni di Boemia.


Modalità di accesso al potere:

dopo la prematura morte senza eredi di Giovanni I di Monferrato, ultimo della dinastia degli Aleramici, nel 1305, si aprì lo scenario per una complessa successione dinastica. Giovanni aveva indicato, nel suo ultimo testamento, precise disposizioni relative al marchesato, che doveva essere protetto dal comune di Pavia e dal conte Filippone di Langosco, signore della città. In assenza di un figlio, l’ordine di successione indicato da Giovanni stabiliva che ad ereditare il marchesato sarebbe stata la sorella Iolanda – moglie di Andronico II Paleologo, imperatore di Bisanzio – o uno dei suoi figli. Nel caso di rinuncia sarebbero stati sostituiti dai figli di Alasina, altra sorella di Giovanni, andata in sposa a Poncello Orsini o, sempre in caso di rinuncia, al figlio della zia Margherita, moglie dell’infante di Castiglia Giovanni. Solo nel caso in cui tutti i precedenti personaggi elencati avessero rifiutato la successione, allora il marchesato sarebbe stato assegnato a Manfredo IV, marchese di Saluzzo. Iolanda, che sposando l’imperatore bizantino Andronico II Paleologo aveva mutato nome, come consuetudine, in Irene, accettò le disposizioni testamentarie del fratello e nominò il figlio cadetto Teodoro come successore. Iolanda si trovava però a Tessalonica, città nella quale aveva stabilito la sua residenza dal 1303, e si rendeva necessario nominare un governatore fino a quando Teodoro non sarebbe arrivato in Monferrato: anche in questo caso il testamento di Giovanni fu rispettato, e venne nominato governatore del marchesato Filippone di Langosco. Il conte di Langosco però, molto impegnato nelle lotte in Lombardia, poco si occupò del territorio monferrino, che divenne un importante obiettivo di conquista del marchese Manfredo IV di Saluzzo. In questo complesso panorama politico si inserì un altro protagonista, che segnerà in positivo l’ascesa al potere di Teodoro: il Comune di Genova che, circondato da possedimenti angioini, sarebbe stato certamente favorito se il Monferrato fosse stato governato da un marchese debitore. Fu per questo che  si imbastì un progetto matrimoniale che prevedeva l’unione tra Argentina, figlia di Opicino Spinola, signore della città, eletto come unico e perpetuo capitano della Repubblica ligure, e Teodoro. Grazie alla flotta genovese guidata da Alberto Spinola, nell’agosto del 1306 T. sbarcò a Genova, sposò Argentina e potè finalmente iniziare il suo percorso politico monferrino. 


Legittimazioni:

giunto a Casale il 16 settembre del 1306, invitò il giorno successivo i nobili e le comunità monferrine a prestargli rispettivamente l’omaggio feudale e il giuramento di fedeltà, ristabilendo così la sua autorità sui territori del Monferrato che gli erano rimasti fedeli. Il primo dicembre 1306 il marchese ottenne la dedizione di Chivasso, città nella quale trasferì la sua residenza e che divenne la città più importante dello stato paleologo. Il 10 e il 12 giugno 1307 rispettivamente le ville di Lu e Vignale prestarono l’omaggio al marchese. Il 9 gennaio 1309 Moncalvo si sottomise al Paleologo. Il 25 novembre 1310, alla presenza del suocero Opicino Spinola, T. fu investito dall’Imperatore Enrico VII “de toto marchionatu Montisferati”. Nel 1316 i sindaci di Casale, insieme ai rappresentanti degli intrinseci e degli estrinseci, donarono il luogo e tutte le sue dipendenze a T. e ai suoi futuri discendenti. Nel 1321 il marchese ottenne la dedizione di Breme. Il 15 dicembre 1328, al ritorno da un suo soggiorno nelle terre bizantine, il marchese ricevette l’offerta della signoria triennale di Vercelli da parte dei capi ghibellini della città. Nel 1330, con la discesa di Giovanni di Boemia in Italia, T. ottenne il titolo di vicario di Vercelli. 


Caratteristiche del sistema di governo:

il primo interesse di T. fu quello di consolidare i suoi possedimenti in Monferrato, che erano stati pesantemente ridimensionati dopo la morte di Giovanni per intervento di Manfredo IV di Saluzzo, Filippo di Savoia-Acaia e Carlo II d’Angiò. Dal punto di vista della politica espansionistica T. seppe dosare azioni militari e diplomazia: alla sua prima vittoria militare, ottenuta con la resa di Pontestura, T. fece seguire alcune azioni diplomatiche, volte a stabilire degli accordi col principe Filippo di Savoia-Acaia in direzione antisaluzzese. L’accordo tra T. e Filippo venne presto disatteso da quest’ultimo, a causa dei dissidi esistenti nell’impero bizantino tra Paleologi e Acaia. Grazie ad azioni militari condotte rapidamente e grazie all’abilità di sfruttare i dissapori tra gli avversari, in poco tempo T. riuscì a riconquistare una parte consistente del proprio dominio (Chivasso, San Raffaele e località minori). L’autorità garantita dal suo casato, la forza delle armi e un’attenta politica di compromessi furono gli elementi degli iniziali successi del marchese. Durante gli ultimi anni di governo, la politica di T. risultò piuttosto  instabile e ambigua, votata esclusivamente non all’espansione ma alla conservazione dei domini precedentemente ottenuti.

Nel 1308 alcuni giureconsulti della corte paleologa composero un Liber nel quale inserirono alcuni statuti intitolati “de bannitis” e “de offendentibus” nei quali emergeva in modo chiaro la volontà del marchese di riservarsi il controllo dell’alta giustizia e la facoltà di giudicare in appello anche contro le sentenze emesse dai tribunali dei feudatari.

Dal 1319 in poi T. utilizzò, come strumento di governo, la convocazione di assemblee – definite parlamenti generali – alle quali partecipavano i vassalli e i rappresentanti delle comunità che da lui direttamente dipendevano. Il primo parlamento fu convocato a Chivasso, nel 1319, non appena T. rientrò dal suo viaggio a Costantinopoli. In queste assemblee venivano trattati molteplici argomenti: i più ricorrenti erano richieste di contribuzione per il sostegno delle milizie, nuove tassazioni, difesa delle consuetudini locali; il parlamento, convocato spesso anche dai successori del Paleologo, era dunque un organo di collaborazione tra sudditi e governo, anche se spesso le riunioni parlamentari si concludevano con la concessione al marchese dei pieni poteri decisionali.

Seguendo le orme di Manfredo IV di Saluzzo, che tra il 1305 e il 1306 aveva coniato a Chivasso la prima moneta del Monferrato (il denaro imperiale, sul quale fece incidere la titolatura di Marchio Montisferrati), T., una volta stabilita a Chivasso la sua residenza, vi fece coniare il suo denaro imperiale. L’autorizzazione imperiale a battere moneta giunse nel novembre del 1311, ma probabilmente la coniazione del denaro risale agli anni 1306-1307. Successivamente nel 1322, sempre a Chivasso, il marchese fece coniare a suo nome il fiorino d’oro.


Sistemi di alleanza:

T. strinse molteplici alleanze, non dettate da una reale volontà di appartenenza ad una delle due parti (guelfa o ghibellina) ma soprattutto legate alle sue ambizioni territoriali: per questo, non mancarono nel corso degli anni profondi capovolgimenti di fronte. Uno degli assi di alleanza più importanti di T. fu quello con la città di Genova, e in particolar modo con la famiglia Spinola. Attraverso il matrimonio con Argentina Spinola, figlia di Opicino, T. creò un legame con un uomo al culmine del suo prestigio e con un potere quasi assoluto sulla città. Il matrimonio del Paleologo con Argentina rappresentò l’indispensabile punto di riferimento per il piano di riconquista territoriale del Monferrato: imparentandosi con gli Spinola, T. riuscì a bilanciare gli effetti dell’alleanza tra il marchese di Saluzzo e la potente famiglia genovese dei Doria, alleanza sancita anche in quel caso da un’unione matrimoniale, quella tra Manfredo IV e Isabella Doria. L’alleanza monferrino-genovese fu rinsaldata anche da un altro matrimonio, quello di un’altra figlia di Opicino Spinola con Filippone di Langosco, che diventò così cognato di T.

In un’altra occasione l’unione matrimoniale tra Spinola e Paleologi dimostrò tutta la sua rilevanza: il principe d’Acaia, rotta la tregua stabilita per il controllo di Lu e Vignale, inviò le sue truppe a Leinì, la occupò e da lì iniziò a marciare verso il Monferrato, coadiuvato da un importante contingente angioino. T. schierò il suo esercito a difesa di Lu e Vignale, potendo contare anche sull’appoggio di truppe al seguito del cognato Filippone di Langosco. Il violentissimo scontro del 27 agosto 1307 si concluse con la cattura del conte di Langosco, condotto a Marsiglia e imprigionato in un castello della Provenza. A seguito di questi eventi Opicino Spinola intervenne direttamente a Marsiglia presso Carlo II,  impegnato nella preparazione di una flotta per la conquista della Sicilia, proponendogli l’aiuto della flotta genovese in cambio della liberazione di Filippone e della consegna nelle mani di Opicino di Lu, Vignale, Moncalvo e altri centri nelle mani angioine. Le condizioni proposte furono accettate e nella primavera del 1308 le truppe angioine si ritirarono dai territori monferrini, consegnati allo Spinola e da questi immediatamente resi al Paleologo.

Fin dal suo sbarco in Italia T. si scontrò diverse volte col marchese di Saluzzo, desideroso di farsi riconoscere erede di Giovanni I e di occupare il marchesato del Monferrato. Si tentarono diverse pacificazioni, spesso non raggiunte o non rispettate, e le dispute tra il Paleologo e Manfredo si conclusero solo nel 1311, con l’intervento di Enrico VII; l’imperatore nominò due arbitri, Opicino Spinola – suocero di T. – e Bonifacio di Saluzzo – protonotario apostolico e fratello del marchese. L’accordo, raggiunto il 3 novembre 1311, stabiliva che T. concedesse in feudo al marchese di Saluzzo i castelli e le ville di Mombarcaro e Camerana, tutti i diritti su Cortemilia, Cagna, Lisio, Ormea, Saleggio, Dogliani, Monchiero, Bobbio e le località comprese tra Alba e Cortemilia lungo la direttrice per Ormea. La controparte era la rinuncia da parte del marchese di Saluzzo ad ogni pretesa sui territori del Monferrato.

Nel 1312, i successi militari riportati da Roberto d’Angiò rinnovarono le tensioni in Piemonte: T. e Filippone si schierarono con Enrico VII in funzione antiangioina, e seguirono le truppe capitanate da Guarnieri di Homberg, ottenendo successi a Cremona, nella Lomellina, nel Vercellese e nel Canavese. Sempre in funzione antiangioina ci fu un avvicinamento tra T., il marchese di Saluzzo e Filippo d’Acaia. Successivamente si inserirono nella lega antiangioina anche i Visconti, con i quali T. aveva militato nella battaglia di Quattordio del 1313.

La politica matrimoniale dei figli di T. fu piuttosto complessa. Inizialmente, per saldare l’intesa tra Paleologi e Acaia, il 1 marzo 1325 vennero stipulati due accordi matrimoniali: la figlia di T., Violante Paleologa, si sarebbe dovuta sposare con Giacomo d’Acaia, mentre Giovanni Paleologo avrebbe sposato una delle figlie del principe Filippo, una sorella quindi di Giacomo. Per questioni anagrafiche (i ragazzi erano molto più giovani delle ragazze), i progetti matrimoniali non si concretizzarono e questo permise al nuovo conte Aimone di Savoia, fratello di Edoardo, morto nel 1329, di iniziare trattative segrete con il Paleologo per sposare Violante. L’unione tra Violante e Aimone si celebrò il 1 maggio 1330, e se da un lato suggellò l’alleanza tra  Monferrato e Savoia, dall’altra ruppe i rapporti tra Paleologi e Acaia.

Pur essendosi sempre schierato contro gli Angioini, nel 1334 il Paleologo strinse con loro una lega, probabilmente per suggerimento di Francesco di S. Giorgio, precedentemente consigliere di Filippo d’Acaia e ora al soldo di T.  Nel giugno del 1334 fu stipulata una lega, sia offensiva che difensiva, tra T., Roberto d’Angiò e i figli del marchese di Saluzzo, Federico e Tommaso, contro gli Acaia. Le ostilità cessarono dopo la morte di Filippo d’Acaia, nel settembre del 1334: il successore, Giacomo, decise infatti di stipulare nel luglio del 1335 una tregua con gli Angioini e nell’agosto dello stesso anno una tregua con i Paleologi.

Nel febbraio del 1337 fu stipulato l’accordo matrimoniale tra Giovanni Paleologo, futuro marchese del Monferrato secondo le disposizioni di T., e Cecilia, contessa di Astarac, figlia di Bernardo VII di Comminges.


Cariche politiche ricoperte in altre citt?:

Legami e controllo degli enti ecclesiastici, devozioni, culti religiosi:

Teodoro, fin dal 1319 e su richiesta di papa Giovanni XXII, si interessò al problema dell'unione della Chiesa romana con quella greca. Il rapporto non andò mai oltre ad uno scambio epistolare, tuttavia il papa, riconoscente per la collaborazione del marchese, rispose alle lettere inviate da T. nella speranza di una proficua collaborazione per ricomporre lo scisma tra Occidente e Oriente. Giovanni XXII inviò a Bisanzio il domenicano Benedetto da Como, nel tentativo di ricomporre lo scisma. Pur ottenendo scarsi risultati, l’imperatore di Bisanzio, Andronico II, rispose ad una lettera papale trasmessagli dal figlio T. Pur essendosi schierato a favore della ricomposizione dello Scisma, l'avvicinamento del Paleologo al pontefice e ai suoi fautori ebbe vita breve: già nel 1322 T. scriveva ad Avignone che intendeva reagire con le armi agli attacchi angioini e due anni dopo, in occasione dell’accusa di eresia contro Ludovico il Bavaro, T. figurava tra i vari capi ghibellini a lui fedeli.

Dovette certamente esercitare una influenza sulle abbazie di Fruttuaria e di Grazzano, dal momento che i due abati, rispettivamente Oberto e Bartolomeo, comparvero al parlamento generale del Monferrato del 1319.


Politica urbanistica e monumentale:

nel 1309, anno in cui Moncalvo di sottomise al marchese, con ogni probabilità T. avviò la costruzione di una nuova fortificazione, in sostituzione dell’antico castrum aleramico, e stabilì attorno alla platea nova il centro amministrativo.


Politica culturale:

nel novembre del 1326, quando il marchese si trovava a Costantinopoli per la seconda volta, scrisse, in greco, il suo famoso trattato militare, noto come Gli "Insegnamenti" di Teodoro di Monferrato. Quando il marchese fece ritorno in Monferrato il trattato venne tradotto dal greco al latino, nel marzo del 1330. L’intento del marchese era quello di contribuire alla salvezza dell’impero bizantino grazie agli insegnamenti indicati nel suo trattato, che però era impostato su esperienze belliche occidentali, quelle vissute direttamente dal marchese a partire dalla sfortunata battaglia di Quattordio dell’aprile 1313. Gli Insegnamenti furono quindi un raro caso di trattato militare che offriva un reale spaccato delle tecniche belliche trecentesche. 


Consenso e dissensi:

nel 1334 a Barge, appena conquistata dalle truppe monferrine, Enrietto Zucca – figlio naturale del prevosto della cattedrale di Torino – si accordò con T. e con Federico di Saluzzo – figlio di Manfredo IV – per tentare un colpo di mano su Torino, città nella quale era stata ordita una congiura a favore degli Angioini e dei Paleologi; secondo gli accordi l’esercito della lega contro gli Acaia si sarebbe schierata fuori Torino il 10 settembre, potendo contare su circa 200 uomini distaccati nei pressi di Madonna di Campagna. La congiura fu però scoperta e Enrietto, imprigionato, confessò i particolari della macchinazione, costringendo T. a rinunciare all’impresa.


Giudizi dei contemporanei:

Fine della dominazione:

morì il 21 aprile 1338 a Trino. Nel testamento veniva stabilito che tutti i possedimenti in Grecia, Lombardia e Italia andassero  al figlio primogenito Giovanni, nominato erede universale.


Principali risorse documentarie:

Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

Apporti nuovi di conoscenza:

Note eventuali: