Vico, Giovanni (III) di


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Estremi anagrafici:

Nato all’inizio del XIV secolo- morto nel 1366.



Durata cronologica della dominazione:

Viterbo e Civitavecchia: 1338-1354; Orvieto: 1352-1354.



Espansione territoriale della dominazione:

 

Viterbo (1338-1354), Civitavecchia (1338-1354), Orvieto (1352-1354), oltre a località minori come Vetralla, acquistata dagli Orsini e contrastata dal pontefice, Corneto, Tuscania, Bagnoregio e Bolsena ma anche Terni, Narni, Amelia, Tolfa, Blera, Ronciglione, Vallerano, Vignanello e Sipicciano.

Non riuscì a conquistare Montefiascone, dove risiedeva il rettore? e dovette rinunciare ad impadronirsi di Todi e di Roma. Indubbia comunque la sua ambizione di costituire una vasta dominazione non solo coerente dal punto di vista territoriale ma anche per le principali caratteristiche del sistema di governo.

 

Origine e profilo della famiglia:

Vedi Faziolo di Vico. La famiglia dei Prefetti di Vico è dal XI secolo a capo di una signoria di tipo “zonale” che si estende su un’area più o meno vasta, a seconda dei momenti, della parte meridionale della provincia pontifica del Patrimonio.

Giovanni,  deciso a crearsi un vero e proprio principato territoriale, ampliò l’ambito dei territori sui quali aveva diretta autorità provocando in tal modo la reazione della curia avignonese. Egli acquistò da Andrea di Giovanni Orsini il castello di Vetralla, cui aggiunse i castelli di Pianzano, Bagnoregio  Vallerano, Vignanello, Sipicciano, mentre gli eserciti inviati da rettori e legati non riuscivano a far breccia nel fortificato sistema difensivo che egli aveva fatto approntare nella città di Viterbo e nei principali castelli fin dall’inizio del suo potere. Nel 1348 Giovanni fece da prestanome per l’acquisto del  castello di Carcari dai Normanni per 6000 fiorini, che l’anno  successivo fu rivenduto a Nerio de fu Baldo dei signori di Tolfa nuova. Egli poteva  sfruttare la preminenza che aveva sui ghibellini del Patrimonio generando un sistema di relazioni clientelari che consolidavano il blocco intorno alla sua persona. Contare sull’appoggio dei comuni in mano ai ghibellini, come Narni, Amelia, Terni e Rieti.  Già dal 1346,  avendo aiutato un ramo del vasto lignaggio dei Monaldeschi a rientrare ad Orvieto,  Giovanni  poteva contare sulla fedeltà di Orvieto, che dopo altri rivolgimenti passò sotto la dominazione dell’arcivescovo Visconti (1352), ma dopo poco questi favorì  la presa di potere di Giovanni di Vico.

All’ingrandimento patrimoniale concorrevano i fratelli: nel 1351 Pietro aveva acquistato  il castello di Celleno per 1000 fiorini, mentre il Prefetto correva nelle terre della Tuscia per ribellarle alla Chiesa e unirle ai suoi domini, occupò Orcla, tra Bieda e Vetralla,  Montalto, Ponte della badia sul Fiume Fiora,  minacciò Canino, in seguito pose l’assedio a Montefiascone. Viterbo fu assediata a lungo dal rettore senza per questo cadere. Tolto l’assedio a Viterbo il Prefetto,  ancora più forte, puntò su Montefiascone, conquistò il comune di Corneto avendo avuto ragione dei Vitelleschi.  La situazione si compromise per la venuta di Carlo IV – che raccoglieva i plausi dei ghibellini del Patrimonio, concesse una pensione annua di 2000 fiorini al prefetto che doveva essere pagata dal comune di Firenze.


Titoli formali:

Prefectus Urbis; dominus Viterbii, Corneti; Civitatis Urbisveteris liberator gubernator ac dominus generalis.


Modalità di accesso al potere:

A Viterbo si appoggiò sui ghibellini ancora memori di Silvestro Gatti, e ucciso il fratellastro Faziolo (1338), venne acclamato signore.

Orvieto, in preda alla lotte di fazioni, aveva chiesto aiuto nientemeno che a Giovanni Visconti arcivescovo e signore di Milano che aveva risposto mandando, in aprile 1352, un suo capitano, Tanuccio degli Ubaldini della Carda, che governò la città con il titolo di capitano del popolo e il sostegno di una della fazioni nobiliari. Di Vico, che  poteva contare sul sostegno dei nobili fuoriusciti, strinse un accordo segreto con il capitano che accettò di consegnargli la città in cambio di denaro. Cosi’ accadde  il 19 agosto 1352, in un momento di assenza dalla città del capo fazione amico di Tanucccio. IL 26 agosto, il consiglio generale del comune gli concedette i pieni poteri con il titolo di dominus generalis.


Legittimazioni:

Comune di Viterbo (1338). Il tribuno di Roma Cola di Rienzo riconobbe a Giovanni di Vico la signoria su Vetralla  e il possesso di Civitavecchia  sulle quali aveva giurisdizione il comune di Roma.  L’imperatore Ludovico il Bavaro lo nominò rettore del Patrimonio di San Pietro in Tuscia, titolo confermato da Carlo IV.

Per Orvieto: vedi voce “Modalità di accesso al potere”


Caratteristiche del sistema di governo:

A Viterbo: Giovanni di Vico non alterò il quadro istituzionale esistente: lasciò in vita la magistratura degli Otto de populo, il consiglio generale (consilium duecentorum conservatorum populi) e quello speciale e gli altri istituti a carattere popolare. Fu particolarmente attivo nella repressione dei reati e furono accentuate le pene corporali compresa la pena di morte - aveva fatto costruire dietro la chiesa di San Faustino una prigione ed era stato rizzato un ceppo per le esecuzioni capitali segrete. I registri del Camerlingato di S. Angelo in Spata contengono molte testimonianze della durezza delle condanne e delle pene, nonché della clemenza in quanto ricorreva a grazie  e riduzioni di ammende anche se imposte da suoi ufficiali (nel 1346 in un mese ve ne erano state ben 73, una delle quali concessa dalla moglie –prefectissa- ad una donna). Ferma e decisa la difesa dell’autonomia di Viterbo oltre che dalla Chiesa dal comune di Roma. Era allora tribuno Cola di Rienzo che perseguiva una politica di forte affermazione sul distretto e mirava a sottomettere non solo i baroni propriamente romani ma anche i Caetani e i di Vico che da parti opposte contrastavano l’affermazione del comune capitolino. Azioni armate, riappacificazioni,  messinscena plateali del tribuno segnarono il periodo di Cola a Roma, in effetti la sottomissione di Giovanni si ebbe solo alla vigilia della definitiva uscita di scena di Cola di Rienzo.

A Orvieto: Giovanni concentra nelle sue mani gran parte delle prerogative politiche e amministrative del comune, procedendo per esempio direttamente alla nomina degli ufficiali. Uno spoglio delle Riformagioni consentirebbe di sapere se ha cercato o meno di associare i consigli alla sua politica di riforma. Comunque l’esistenza di un Liber ordinamentorum, decretorum, deliberationum, electionum, mandatorum, ossia di tutte le decisioni prese da Di Vico in virtù dei pieni poteri a lui conferiti dai consigli (ex balia et arbitrio et auctoritate …, CALISSE, I Prefetti di Vico, p. 491, per opportuna et solempnia consilia dicte civitatis concessa et data…: ibid. pp. 504-505), coprendo tutto il periodo della Signoria lascia supporre che Di Vico abbia principalmente governato per mezzo di decreti.

Appena arrivato al potere, manifesta la sua volontà di procedere ad una serie di riforme che rivelano un progetto politico di vasto respiro. Pur dovendo la sua posizione all’appoggio di una delle fazioni, si dichiara al di sopra delle parti e prende una serie di provvedimenti che mirano a reprimere ogni forma di violenza e a garantire la pace interna. Sensibile alla situazione catastrofica delle comunità del contado, cerca di alleggerire il loro carico fiscale.

Il figlio Francesco agisce in sue veci a partire dal 13 dicembre 1353. Il Prefetto riappare il 31 gennaio 1354 e ratifica gli atti di suo figlio il 1° febbraio 1354.

 


Sistemi di alleanza:

Fedele alla tradizione familiare Giovanni di Vico mantenne la militanza ghibellina e imperiale, fu a capo del partito avverso alla Chiesa in  tutta la provincia del Patrimonio di San Pietro in Tuscia. Nell’azione politica e nelle relazioni intercittadine potè valersi dell’aiuto dei suoi fratelli Pietro, Ludovico, Sciarra che  svolsero un ruolo di sostegno nelle varie iniziative anche in aiuto degli alleati delle città vicine.

Sciarra fu a fianco di Corrado Monaldeschi della Cervara nel rientro ad Orvieto nel 1344 e poi nel 1346. Il Prefetto oltre a poter contare sui comuni di Viterbo e d’Orvieto, sui Monaldeschi della Cervara, Luca Savelli, Stefano Normanni, Sciarra Colonna mentre ebbe avversi buona parte degli Orsini, i Vitelleschi, i Farnese, i Baglioni di Castel del Piero, Bertrando di Tessennano e il comune di Orte. Il prestigio di Giovanni di Vico sui signori di parte ghibellina spicca scorrendo l’elenco di quanti lo accompagnarono a Roma alla presenza di Cola di Rienzo: Giovanni di Guittuccio di Bisenzio, Lozio signore di Tolfa nuova, Manuzio e  Berardo di Corrado Monaldeschi, Pietruccio di Cola, e Pietro suo fratello da Cellere dei signori di Farnese, Niccolò da Cataluccio di Bisenzio, Giannuzzo detto lo Schiavo, Francesco di Marcuccio, Giovanni di ser Gilio da Viterbo, Cecchino e Stefano di Alviano, Sciarra da Toscanella, Malatesta Baglioni da Roccalvecce, Monaldo di Lionello da Orvieto e Cola Forcapetolo.

La rete di relazioni parentali era estesa agli esponenti delle maggiori famiglie baronali di Roma e del Patrimonio. Suo fratello Ludovico aveva sposato Vannozza di Andrea Orsini, e Bonifazio ( Faziolo ) Ocilenda Orsini,  Pietro aveva sposato Maria di Orso d’Anguillara, una Elisabetta di Vico aveva sposato Domenico di Orso Anguillara. Non conosciamo il nome della moglie dalla quale ebbe almeno sei figli: Francesco, Briobi, Giacomo,  Battista e inoltre due figlie femmine, Annesina che nel 1355 sposa il figlio di Paoluccio de Carapignano, e Tradita che dopo la morte del padre sposa Giovanni de Conti duca di Pisa ( Calisse p. 114).

Giovanni è uno dei pilastri dello schieramento ghibellino in Italia centrale, e viene considerato dall’amministrazione pontificia come il nemico da abbattere. Fu scomunicato il 9 luglio 1352.


Cariche politiche ricoperte in altre citt?:

Legami e controllo degli enti ecclesiastici, devozioni, culti religiosi:

Politica urbanistica e monumentale:

A Viterbo: Edificazione del sistema difensivo di Vetralla con la rocca,  intensi lavori di fortificazione delle mura e costruzione di torri nei punti strategici di Viterbo. Ad Orvieto avviò la costruzione di molte fortificazioni e seguì l’edificazione di luoghi sacri ( Santa Maria, cappella di San Faustino).

A Orvieto: Dimostra grande attenzione per i conti della fabbrica del Duomo. Sarebbe auspicabile uno spoglio sistematico del Liber ordinamentorum, decretorum, deliberationum, electionum, mandato rum  per sapere se è personalmente intervenuto nei lavori di costruzione o decorazione del Duomo.


Politica culturale:

Consenso e dissensi:

Nella città di Viterbo i suoi fedeli gli tributarono onori superiori a quelli di un re. Era stata innalzata nella Piazza del comune di Viterbo una grande aquila imperiale che teneva sotto gli artigli lo stemma del re di Napoli Roberto d’Angiò, il capo riconosciuto della parte guelfa: i passanti si scoprivano il capo, facevano atto di omaggio e decoravano il simulacro con lampade e fiori: per questo furono tacciati di idolatria.

Una sollevazione del popolo di Viterbo si ebbe nel giugno 1352, fomentata dagli ufficiali pontifici quando si tentava di sconfiggere in maniera definitiva il Prefetto. Il tumulto partito dai quartieri Pian di Scarano e  contrada San Faustino  fu soffocato dal di Vico, e i prigionieri furono condannati al patibolo. In aperto contrasto fu il Tribuno di Roma Cola di Rienzo che pretendeva la sottomissione di Viterbo al distretto di Roma, e aveva imposto una pesante tassazione al comune. Alla ribellione di Giovanni, sostenuto da viterbesi, il tribuno lo accusò dell’omicidio del fratellastro Faziolo, gli tolse la prefettura. A nulla valsero le richieste di riappacificazione di Giovanni III in quanto il tribuno arrivò a tenere prigioniero il figlio Francesco e una seconda volta lo stesso prefetto ( allora i poteri in Viterbo furono tenuti, per volere del consiglio del comune,  dai fratelli Pietro e Sciarra).


Giudizi dei contemporanei:

Nel linguaggio delle lettere pontificie (Clemente VI), Giovanni di Vico viene definito ribelle, traditore, invece l’Anonimo romano nella Vita di Cola di Rienzo sottolinea la mancanza di rispetto dei patti e promesse fatte: “Avea lo Prefetto in se una mala natura, che ciò di un uomo li domandava di subito l’ammetteva …: a la fine non servava le promesse, e quanto più ti prometteva, peggio ti attendeva”.

 


Fine della dominazione:

La ferma azione del legato Egidio di Albornoz che concentrò contro il di Vico le milizie della Chiesa,  ingrossate da mercenari stranieri ed italiani, portò alla definitiva sottomissione di Giovanni di Vico, che in pochi mesi vide dissolto il vasto dominio. A Orvieto di Vico si sottomette al legato pontifico il 5 giugno 1354 e gli consegna la città rinunciando alla sua Signoria il 10 giugno.  Anche Viterbo fu riconsegnata al Legato, Giovanni di Vico e i suoi figli ne furono esiliati per 12 anni. Nel parlamento di Montefiascone (30 settembre 1354) il legato enunciò i diritti della Chiesa (v. elenco in Theiner II, p. 365), e Giovanni venne riconosciuto vicario di Corneto.


Principali risorse documentarie:

Archivio comunale di Viterbo, Archivio del capitolo della Cattedrale, Registra Avenionensia, Registra supplicationum, Introitus et Exitus, Collectoriae.


Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

Fonti: Niccolò della Tuccia, Cronache di Viterbo, in Cronache e statuti della città di Viterbo, a cura di I. Ciampi, Firenze 1872, p. 33; Codice diplomatico della città di Orvieto, a cura di L. Fumi, Firenze 1884; Benoît XII. Lettres closes, patentes et curiales se rapport. à la France, a c. di G. Daumet, Paris 1899-1920; Benoît XII. Lettres closes... intéressant les pays autres aue la France, a c. di J. M. Vidal e G. Mollat, Paris 1913-1952; Benoît XII. Lettres communes, a c. di J. M. Vidal, Paris 1903-19 11;. Sono pubbl.: Lettres closes,patentes et curiales se rapportant à la France, a cura di E. Déprez-J. Glénisson-G. Mollat, I-III, Paris 1901-1959; Lettres closes,parentes et curiales intéressant les pays autres que la France, a cura di E. Déprez-G. Mollat, Paris 1960-1961  

Studi: C. Calisse, I Prefetti di Vico, in Archivio della R. Società romana di storia patria, X (1887), pp. 64-66; P. Savignoni; L'Archivio storico del Comune di Viterbo, ibid., XVIII (1895); M. Antonelli, Vicende della dominazione pontificia nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia dalla traslazione della sede alla restaurazione dell'Albornoz, ibid., XXVI (1903); G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, I, Viterbo 1907; C. Pinzi, Storia della città di Viterbo, III, Roma 1913; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, III; E. Dupré Theseider, Roma dal Comune di popolo alla signoria pontificia (1251-1377), Bologna 1952; G. Signorelli, I Gatti, in Bibl. prov. A. Anselmi, Miscellanea di studi viterbesi, Viterbo 1962,  le due voci di B. Guillemain dedicate rispettivamente a Benedetto XII e Clemnte VI in DBI; J.-C. Maire Vigueur, Comuni e signorie in Lazio, Marche e Umbria, in Storia d’Italia (dir. da G. Galasso), VII, 2, (Utet); ID. Cola di Rienzo in DBI; E. Petrucci, La riconquista dell’Albornoz in La storiografia di E. Dupré Theseider, Roma 2002; A. Mazzon, Vico, Giovanni III di, in Dizionario storico biografico del Lazio, (Roma 2009),  III, p. 1966

 


Apporti nuovi di conoscenza:

Note eventuali:

Le notizie su Orvieto sono di Jean-Claude Maire Vigueur; quelle su Civitavecchia e Viterbo di Maria Teresa Caciorgna.