Prato


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Profilo delle esperienze di potere personale e signorile in relazione al sistema politico:

Se il legame con la casa d’Angiò è stato elemento di rilievo nella storia della maggior parte delle città toscane di epoca comunale esso ha rappresentato, per Prato, quasi un fattore di costruzione dell’identità locale (come testimonia, ancora oggi, lo stesso stemma cittadino). Il profilo delle esperienze signorili pratesi avrà dunque come protagonisti assoluti, in un quadro che pure ci appare caratterizzato dalla presenza di altri elementi sia interni che esterni, i vari esponenti della dinastia francese che, in poco meno di un secolo – dalla metà del XIII alla metà del XIV – furono signori della terra per complessivi quarantuno anni.

Il primo della serie fu appunto Carlo d’Angiò, che ottenne il potere anche a Prato sulla scia della vittoria conseguita a Benevento. La signoria del sovrano angioino, che sul piano strettamente istituzionale si tradusse anche in questo caso nella sostituzione degli ufficiali forestieri di vertice con un vicario di nomina regia, sancì e consolidò l’inserimento della città del Bisenzio all’interno dello schieramento guelfo toscano, di fatto sostenendo e alimentando la parallela espansione dell’influenza fiorentina sul centro finitimo. Non è un caso, dunque, che la successiva esperienza di dominio signorile vissuta dalla città nel secondo decennio del Trecento abbia preso avvio sulla scia di quanto accaduto a Firenze, con la concessione del dominio a Roberto d’Angiò operata dal ceto dirigente pratese a un tempo quale espressione del proprio legame con la città del giglio, il guelfismo e la casa d’Angiò, e quale frutto delle circostanze esterne (la discesa in Italia di Enrico VII). Così come per il nonno, in ogni caso, l’impatto della signoria di Roberto sulla struttura istituzionale pratese fu di fatto limitato alla sola introduzione del vicario.

Se anche il successivo dominio di Carlo di Calabria si affermò sulla falsariga dei precedenti – dipendenza diretta dall’esempio fiorentino; peso delle circostanze esterne, rappresentate in questo caso dall’azione di conquista di Castruccio Castracani – esso segnò tuttavia un momento di discontinuità fondamentale nelle vicende pratesi: diversamente da quanto era avvenuto a Firenze e negli altri centri che si erano legati al duca di Calabria Prato concesse infatti a Carlo (e – si noti bene – ai suoi eredi) la signoria a vita.

La scelta di legare i destini della città alla dinastia angioina venne operata con ogni evidenza per limitare la crescita dell’ingerenza fiorentina sulle vicende locali, che si era fatta sempre più acuta col secondo decennio del Trecento (anche grazie al periodo di signoria di Roberto). La sottomissione alla casa d’Angiò assumeva nello specifico una serie di valenze positive: manteneva Prato saldamente ancorata allo schieramento guelfo nel quale la città si era di fatto riconosciuta da almeno sessant’anni; poneva davanti alle mire fiorentine uno schermo almeno formalmente insuperabile, lasciando al contempo al ceto dirigente locale – grazie anche alla distanza da Napoli –un sufficiente spazio di manovra; e lo faceva senza offrire a Firenze motivi apparenti di lagnanza. Dal punto di vista angioino, se l’acquisizione del controllo diretto su Prato non rappresentò certo una svolta nella gestione degli equilibri politici toscani, essa dovette comunque essere vista con sufficiente favore per le sue implicazioni strategiche ed economiche. Tale passo rappresentò in ogni caso l’ultimo atto significativo compiuto sul piano esterno dal ceto dirigente cittadino prima della sottomissione a Firenze del 1351.

Alla morte di Carlo nel 1328 la signoria ritornò così al padre di questi, Roberto, che da Napoli riprese formalmente il controllo sulla città. Il nuovo periodo sotto il sovrano meridionale si caratterizzò comunque per una sostanziale continuità politica e istituzionale con le precedenti esperienze di dominio angioino, nel segno di una presenza non invasiva degli equilibri politici locali e attenta (per lo più a proprio vantaggio) alla gestione delle finanze.

Fu in questo contesto che si venne dunque gradualmente concretizzando, grosso modo a partire dagli anni trenta del secolo, la dominazione familiare dei Guazzalotti, lignaggio al vertice della scena politica pratese almeno dagli inizi del Duecento che si era nel tempo affermato come guida della fazione guelfa locale. Di parte Nera, col progredire del XIV secolo i Guazzalotti seppero rafforzare la propria posizione all’interno dell’élite locale, coltivando i legami con le altre famiglie magnatizie e con esponenti del Popolo, colpendo i propri avversari e soprattutto conquistando il favore del gruppo dirigente fiorentino. Il tutto nel sostanziale disinteresse del sovrano di Napoli, che mantenne al minimo (nomina dei vicari e saltuario drenaggio di risorse finanziarie) il legame con il centro laniero. La morte di Roberto nel 1343 e il passaggio della signoria sulla città alla figlia Giovanna non ebbe in ogni caso alcuna ripercussione sulle sorti dei Guazzalotti, che anzi all’inizio degli anni quaranta videro il proprio dominio – seppur privo di qualsiasi riconoscimento formale, o di concreta ricaduta sui meccanismi istituzionali del Comune – acquisire rilevanza e credito sostanziali presso i vertici delle città vicine.

La vicinanza interessata di Firenze si rivelò tuttavia un ostacolo insormontabile per le mire della famiglia (giacché dominio prettamente familiare fu quello dei Guazzalotti). Il tentativo di rendersi autonomi dalla potente vicina, che aveva conservata intatta l’influenza sulle cose pratesi, e dall’altra parte la volontà di questa di serrare la propria presa sulla città del Bisenzio portarono alla rottura definitiva di quell’equilibrio fra condizioni interne e spinte esterne che aveva favorito l’ascesa dei Guazzalotti. Dopo alcuni episodi (legati anche a supposti abboccamenti dei Guazzalotti con i Visconti di Milano) che portarono a un passo dallo scontro armato, giunse così la decisiva mossa di Firenze che, grazie ai buoni uffici del Gran Siniscalco del Regno di Napoli Niccolò Acciaioli, nel febbraio del 1351 acquistò direttamente la terra dalla regina Giovanna, ponendo fine a un tempo alla più che ventennale signoria angioina e all’autonomia stessa di Prato.



Elenco cronologico degli Individui e delle Famiglie:

Individui:

Carlo d’Angiò (1267-1278 circa)

Roberto d’Angiò (1314-1319; 1328-1343)

Carlo di Calabria (1327-1328)

Guazzalotti (1330-1350 circa)

Giovanna I d’Angiò (1343-1351)

Famiglie:

Angiò

Guazzalotti



Bibliografia di riferimento:

E. Fiumi, Demografia, movimento urbanistico e classi sociali in Prato dall'età comunale ai tempi moderni, Firenze 1968; G. Sivieri, Il comune di Prato dalla fine del Duecento alla metà del Trecento, «Archivio storico pratese», XLVII, 1971, pp. 3-57; XLVIII, 1972, pp. 3-39; E. Cristiani, Il libero Comune di Prato (secc. XI-XIV), in Storia di Prato, I, Prato, Edizioni Cassa di Risparmi e Depositi, 1981, pp. 363-412; S. Raveggi, Protagonisti e antagonisti nel libero Comune, in Prato. Storia di una città, I, Dal Mille al 1494, Firenze, Le Monnier, 1991, I/2, pp. 613-736; G. Cherubini, Ascesa e declino di Prato tra l’XI e il XV secolo, in Ivi, pp. 965-1010.

Note eventuali: