Tarlati, Piero detto “Pier Saccone”


di:
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Estremi anagrafici:

1275 ca -1356.



Durata cronologica della dominazione:

Arezzo, ottobre 1327 - marzo 1337;

Sansepolcro (già Borgo San Sepolcro), ottobre 1327; 29 marzo 1329 - 8 aprile 1335; 1351;

Città di Castello, ottobre 1327 - ottobre 1335;

Castiglion Fiorentino (già Castiglion Aretino), 1311; ottobre 1327 - giugno 1337; agosto 1343 - aprile 1345.



Espansione territoriale della dominazione:
Origine e profilo della famiglia:
Titoli formali:

Ad Arezzo, dal gennaio fino alla metà circa del 1328, P. è, assieme a suo cugino Bertoldo di Magio, «Defensor civitatis». Dall’anno successivo assume da solo tutte le responsabilità di governo in virtù di un patto famigliare e del vicariato imperiale concessogli sulla città. Nel corso del 1333 ottiene dalle magistrature comunali il titolo di «Generalis Dominus Aretinus».

A Castiglion Aretino, un personale primato di P. è attestato fin dal 1311, quando egli è riconosciuto da Enrico VII suo vicario in loco.

Titoli vicariali furono vantati su Borgo San Sepolcro e Città di Castello rispettivamente da Rodolfo e Bettino, zio e cugino di P., per il tramite dei quali quest’ultimo esercitò il suo dominio su quelle terre. Nondimeno l’effettivo conferimento da parte dell’autorità imperiale dei due uffici appare oltremodo dubbio.


Modalità di accesso al potere:

All’improvvisa morte di Guido Tarlati, avvenuta tra il 16 ed il 21 ottobre 1327, i suoi congiunti agirono con solerzia per trasformare in famigliare quella che fino ad allora era stata una signoria personale del presule. Pare plausibile che, nei giorni immediatamente successivi la scomparsa, l’iniziativa sia stata assunta da Rodolfo di Tarlato (zio di Guido e P.) e Bettino di Vanni (loro cugino) i quali, nel contingente vuoto di potere, assunsero il titolo di «Defensores civitatis». Furono i due, sul finire di quello stesso ottobre, ad attribuire a quattro statutari (tra i quali Alberico degli Albergotti, già vicario generale in temporalibus di Guido Tarlati) l’incarico di procedere ad una generale revisione statutaria che conferisse legittimità giuridica a questa nuova soluzione istituzionale. Ma sotto la pressione del più autorevole P., fratello del defunto, il testo normativo venne implementato, presumibilmente entro il gennaio successivo, con la rubrica 4 del primo libro che sancì la fine del defensorato di Rodolfo e Bettino e l’assunzione della medesima carica da parte di Bertoldo di Magio e dello stesso P., formalmente cooptati come nuovi «Defensores» dai loro predecessori.

Nondimeno un ulteriore titolo si sarebbe assommato (e di fatto sostituito) a questo primo entro la fine del 1327 quando P. ottenne da Ludovico il Bavaro la nomina a Vicario imperiale in Arezzo congiuntamente all’attribuzione a suo fratello Tarlato di quello in Pisa. Forte di questa legittimazione, prima del mese di maggio 1333, P. fu infine riconosciuto «Generalis Dominus Aretinus».

Alla morte di Guido, P., assieme ai suoi famigliari, s’era del resto premurato di mantenere il controllo sulle terre signoreggiate dal fratello. A Castiglione, anzi, l’autorità di P. risultava cronologicamente più risalente rispetto a quella dello stesso Guido dal momento che fino dal 1311 egli era stato riconosciuto vicario imperiale da Enrico VII. La notevole energia militare dispiegata, che garantì la conservazione del dominio su Città di Castello e Castiglion Aretino, non impedì tuttavia che Borgo San Sepolcro venisse perduta per mano di Neri della Faggiola. Nel 1328, deciso a riprendere il controllo del paese, P. vi spedì il congiunto Roberto di Magio, provvisto di una investitura imperiale nominalmente rilasciata dal Bavaro, ma probabilmente falsa. I Borghesi non diedero credito al documento e si rifiutarono di aprir le porte alle armate aretine. Dopo otto mesi, o con uno stratagemma, o per trattato, visto che i fiorentini si erano rifiutati di soccorrere il Borgo, certamente comunque con l’appoggio di una parte dei ghibellini locali, Roberto conquistò il paese, mettendo a sacco le case dei guelfi.


Legittimazioni:

Entro Arezzo, dove una parte preponderante delle precedenti esperienze signorili aveva veduto come protagonisti i locali presuli, P. dovette ricercare nuove fonti di legittimazione. Prima l’istituzione del Defensorato famigliare tramite generale revisione statuaria, poi il riconoscimento imperiale del vicariato, infine il richiamo ad una presunta consensualità cittadina attestata dall’attribuzione del titolo di «Dominus Generalis» furono gli strumenti attraverso i quali le basi del nuovo potere signorile vennero radicalmente riconfigurate.

Nei confronti dei grossi centri di Borgo San Sepolcro, Città di Castello e Castiglion Aretino, P. fece largo ricorso alla legittimazione imperiale, presunta o reale che essa fosse. Se il titolo di vicario vantato a Castiglione attorno al 1311 risulta indubitabile essendogli stato conferito dallo stesso Enrico VII, le investiture con le quali Roberto si presentò innanzi ai Borghesi nel 1328 furono infatti assai probabilmente prive di fondamento e comunque per tali furono considerate dagli abitanti della terra. Altrettanto incerta appare la liceità di un «Vicariatus Vallis Chii» strumentalmente evocato da P. nel 1331 durante l’arbitrato di una contesa tra le comunità del distretto castiglionese. Proprio in questo stesso anno, al fine di ottenere l’assoluzione dalle censure pontificie, l’intera famiglia dichiarò di aver ricevuto dall’imperatore i vicariati di Arezzo, Città di Castello e Borgo San Sepolcro, nelle persone rispettivamente di P., Rodolfo e Bettino. Ma la legittimità almeno degli ultimi due di questi uffici rimane comunque dubbia.


Caratteristiche del sistema di governo:

La parabola politica di P. può essere letta come un percorso che dalla signoria famigliare, istituitasi in immediata successione alla morte di Guido per il tramite della carica diarchica dei «Defensores», conduce, attraverso l’attribuzione dell’ufficio vicariale prima e grazie al conseguimento del titolo di «Dominus Generalis» poi, a forme di domino sempre più schiettamente personalistiche.

Non sempre però risulta agevole assegnare ad ognuna delle cariche successivamente assunte i concreti poteri che gli furono correlati. Lo statuto del 1327 attribuisce ai due «Defensores» una vasta gamma di prerogative che, pur non sovvertendo le ordinarie strutture comunali, finivano per sovrapporre ad esse due supervisori in grado di piegare alla propria volontà tutta la politica cittadina. I diarchi infatti avevano piena libertà nel comando delle truppe mercenarie che difendevano la città e le comunità soggette; esercitavano un totale controllo sulla spesa pubblica; eleggevano o rimuovevano a loro volontà tutti gli ufficiali comunali; lo stesso podestà non avrebbe potuto pronunciare alcuna sentenza senza esplicita approvazione dei «Defensores». E per quanto in seno ai processi deliberativi le consuete assemblee consiliari avessero mantenuto le loro tradizionali prerogative, si deve da un lato tenere in conto la presumibile pervasività, al loro interno, dei partigiani filotarlateschi e dall’altro il diritto riconosciuto agli stessi «Defensores» di promuovere modifiche all’impianto statutario.

Se a tutta prima l’attribuzione del vicariato imperiale, nel 1328, indurrebbe a ritenere possibile la soppressione dell’ufficio podestarile ed il suo conseguente accorpamento all’incarico di «Defensor», gli annali cittadini attestano invece, tra il 1327 e gli anni successivi, un’ininterrotta serie di usuali podesterie forestiere. E’ possibile dunque ipotizzare che la carica di «Vicarius» non abbia comportato tanto l’assunzione da parte di P. di ulteriori prerogative rispetto a quelle precedentemente tributategli quale «Defensor civitatis» quanto piuttosto l’estromissione di ogni altro famigliare da posizioni di compartecipazione signorile. Non è un caso che nei documenti della prima metà degli anni ‘30 P. si qualifichi come «Vicarius Imperialis», e, a partire dal 1333, come «Vicarius et Dominus Generalis» senza menzionare più la precedente carica diarchica di «Defensor». Riprova ne è che in quegli anni a coadiuvare P. nella sua attività di governo, non è più Bertoldo quanto Tarlato il quale tuttavia si colloca su una posizione di evidente subalternità rispetto al fratello senza partecipare in alcun modo alle dignità di quello.

A Borgo San Sepolcro e Città di Castello P. si preoccupò non solo di controllare i vertici comunali ma anche di far risiedere in loco esponenti della famiglia, investiti della carica di vicari. Per  Borgo San Sepolcro questa incombenza ricadde quasi esclusivamente su Roberto di Magio, mentre Città di Castello fu governata da Rodolfo, almeno nell’ultimo periodo della signoria.

La partecipazione al governo delle grosse terre che contribuirono a costituire il dominato tarlatesco di quei familiari che all’interno della città erano stati sempre più relegati in posizioni subalterne appare evidente anche per Castiglion Aretino. Almeno a cavallo tra il 1336 ed il 1337 podestà del centro risulta essere non P. ma suo fratello Tarlato che agisce localmente per il tramite di un vicario.


Sistemi di alleanza:

La politica di P., come già prima quella di Guido, si inserì nel solco di un fervente ghibellinismo. Ciò portò il Tarlati ad una lunga e di fatto disastrosa guerra contro le contermini forze guelfe ovvero, principalmente, Perugia, Siena e Cortona. In questa sfortunata contrapposizione P. ricercò l’appoggio di altri soggetti ghibellini tra i quali, dopo la morte di Castruccio Castracani, primeggiava Mastino della Scala e ancor più Giovanni Visconti di cui il Tarlati fu fiero alleato. Tramite due successivi matrimoni, P. si legò alla famiglia Spinola di Genova ed a quella aretina dei Brandaglia.


Cariche politiche ricoperte in altre citt?:

Intorno al 1320, allorché in modo più virulento s’era iniziata a manifestare la contesa tra papa Giovanni XXII e Guido Tarlati, quest’ultimo era riuscito a far sì che suo fratello P. ottenesse presso Spoleto la Carica di Capitano di Guerra col fine evidente di installare un proprio congiunto in una città direttamente soggetta all’autorità pontificia.


Legami e controllo degli enti ecclesiastici, devozioni, culti religiosi:

Dopo la morte di Guido Tarlati, il permanente potere familiare entro Arezzo continuò ad impedire l’accesso in città a Boso Ubertini, fatto vescovo da papa Giovanni XXII fin da quanto nel 1326  Guido era stato dichiarato deposto dalla cattedra. Anzi proprio P. ed i suoi congiunti procedettero ad eleggere quale nuovo presule un frate francescano, di nome Mansueto, facendolo consacrare da Pietro da Corbaria, antipapa col nome di Niccolò V. L’illegittimo vescovato di Mansueto funzionò dal 1329 al 1331, anno nel quale il francescano fu espulso dagli stessi Tarlati. Questi, continuando ad interdire l’accesso a Boso, si qualificarono di lì innanzi come «Defensores et Governatores episcopatus Aretii» ovvero procuratori di una sede ch’essi ritenevano vacante.

L’Ubertini poté effettivamente accedere alla sua cattedra solo al termine della signoria aretina di P. E ciò nonostante che negli stessi accordi di cessione di Arezzo a Firenze (vedi infra Fine della signoria) il Tarlati si fosse premunito di includere una clausola, evidentemente rimasta inattuata, la quale prevedeva l’assegnazione della cattedra aretina al suo parente Bartolomeo e la compensazione di Buoso con altro incarico episcopale.


Politica urbanistica e monumentale:

Ad Arezzo , dopo i radicali interventi urbanistici di Guido Tarlati, P. si limitò a portare a compimento alcuni dei cantieri rimasti inconclusi.

Anche a Borgo San Sepolcro ed a Città di Castello P. proseguì l’attiva politica edilizia di suo fratello, dedicandosi soprattutto all’edificazione di mura e fortificazioni.


Politica culturale:

Tra le più importanti operazioni culturali promosse da P. si deve annoverare la realizzazione del cenotafio che, nel duomo cittadino, avrebbe ospitato la salma di Guido. Si tratta di una complessa opera che sfrutta al massimo grado le possibilità comunicative della arte scultorea veicolando, attraverso sedici bassorilievi, precisi messaggi ideologici. Il fratello e predecessore Guido è presentato nelle vesti di padre della patria ed il suo regime come il solo capace di conferire dignità ad una città altrimenti divisa dagli odi di parte e succube dei nemici esterni.


Consenso e dissensi:

Già durante la sfortuna guerra contro Perugia, la fazione guelfa -di cui Guido era riuscito a spezzare la solidarietà accogliendo alcuni dei suoi elementi tra i propri collaboratori- manifestò profonda insofferenza verso la signoria di P. Allo stesso modo una sincera disaffezione animava anche il Popolo aretino che, politicamente marginalizzato nel lontano 1310, non aveva trovato alcuna soddisfazione alle proprie aspirazioni da parte del regime tarlatesco. La composita opposizione interna poté facilmente ricercare nei numerosi nemici esterni degli alleati di circostanza; così ad esempio nei primi mesi del 1336 ben due sommosse filoperugine volte ad abbattere il regime di P. furono stroncate nel sangue.

Con il soccorso dei Perugini, dei Faggiolani e di altre famiglie signorili della zona si erano del resto realizzate nel 1335 le espulsioni dei Tarlati da Borgo San Sepolcro e da Città di Castello. Ma se quest’ultimo centro non fu più riconquistato, il primo fu nuovamente occupato nel corso del 1351 con il sostegno di un contingente di armati tedeschi inviato da Giovanni Visconti al comando di Rinaldo Pallavicino. Il ruolo avuto dalle truppe viscontee nella riconquista del centro ne favorì, dopo breve periodo, il passaggio all’arcivescovo di Milano.



Giudizi dei contemporanei:

La vendita della signoria sulla città di Arezzo al Comune di Firenze rappresentò, tra i contemporanei, motivo di violenti biasimi nei confronti di P. Lo stesso ser Gorello, che pure più volte adduce gli insuccessi del Tarlati ai “malvagi e falsi consultori” (tra cui primeggia Alberico degli Albergotti, che per il suo stesso orientamento guelfo avrebbe premuto per la cessione), non può infine che aggiungersi al coro affermando “O Petramala, che per miser Piero / vergognia porti d’havermi venduto / questo te fia eterno vitupero.”

Ancor più radicale l’invettiva di quanti furono vittime dei violenti metodi di governo di P. il cui soprannome, che alcuni vogliono motivato dalla rozza conformazione fisica, sembra anche poter alludere alla sua attitudine al saccheggio nei confronti di sudditi e nemici. Lo statuto di Castiglion Aretino, abrogando le requisizioni compiute da P. a danno degli oppositori filofiorentini, ricorda le violenze subite da quest’ultimi, i cui corpi furono straziati, i denti cavati, le membra mutilate per volere di colui che è definito tiranno sanguinario ed amante dell’iniquità.


Fine della dominazione:

Perduta per mano dei Faggiolani la signoria su Borgo San Sepolcro (vedi supra Complotti, ribellioni, contestazioni), incapace di reggere l’offensiva di Perugia, osteggiato da buona parte dell’aristocrazia comitatina, P. si vide infine costretto a cedere Arezzo a Firenze. Le trattative, che si avviarono nel febbraio 1337, si conclusero il 7 marzo successivo quando la città del Giglio, dietro il versamento di una consistente somma di denaro, assunse per i dieci anni successivi la piena giurisdizione su Arezzo ed il suo comitato. Il Tarlati ottenne licenza di rimanere in città sotto la scorta di un consistente reparto di armati, ricevette lo status giuridico di popolare fiorentino, rinunciò ad ogni diritto su Borgo San Sepolcro, Città di Castello e Cortona, ma si assicurò la custodia decennale del grosso centro di Castiglion Aretino. Nondimeno, la critica situazione nella quale P. versava dopo la cessione della signoria aretina garantì al Comune di Castiglione, nel maggio1337, di offrire la propria dedizione a Firenze ben disposta a disconoscere il precedente accordo col Pietramala. La reazione di P., per quanto non immediata, fu comunque risoluta. Nell’agosto 1343 il Tarlati fece irruzione in Castiglione ripristinatovi il suo diretto dominio. La nuova dominazione tarlatesca sul centro si sarebbe protratta per circa due anni fino all’aprile 1345 quando il castello fu infine occupato manu militari dai Perugini.P. sarebbe morto ultraottuagenario nel 1356, presso il castello di Bibbiena


Principali risorse documentarie:

La distruzione degli archivi cittadini in conseguenza delle vicende che nel 1384 portarono all’assoggettamento fiorentino ha ridotto il novero delle fonti per lo studio della storia medievale aretina. Il più ed il meglio di quanto si è conservato è stato pubblicato nella raccolta del Pasqui, inaggirabile strumento per l’analisi della parabola tarlaresca.

Per le esperienze sui centri minori del dominio tarlatesco, oltre ai documenti editi dal Pasqui, si veda Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Castiglion Fiorentino comune, a quaderno, 1225-1311: 17 agosto 1311 e 9 dicembre 1311; 1313; 11 marzo 1331; Archivio Comunale di Castiglion Fiorentino, Deliberazioni, reg. 27; Archivio Comunale di Castiglion Fiorentino, Statuti, reg. 1, lib. II, cap. lxx; Archivio della Santissima Annunziata, Firenze, Fondo San Sepolcro, Pergamene, Cassetta 2, n. 161, 1329 maggio 14.


Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

Fonti: Acta Henrici VII Romanorum Imperatori…, a cura di F. Bonaini, Firenze, 1877; Annales Aretinorum maiores et minores, a cura di A. Bini e G. Grazzini, Rer. Italic. Scrip.2, t. XXIV p. I, Città di Castello, 1909; A. Ascani, Due cronache quattrocentesche, Città di Castello, Scuola Grafica dell’Istituto Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato, 1966, p. 57; L. Bruni, Istoria fiorentina, II, Firenze, Le Monnier, 1855, pp. 32 e segg.; Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medioevo, a cura di U. Pasqui, Bellotti, Firenze, 1899-1937; Documenti riguardanti i Tarlati, a cura di A. Bini e G. Grazzini, Rer. Italic. Scrip.2, t. XV, p. I, Bologna, 1917, pp. 305-334; P. Farulli, Annali e memorie dell'antica e nobile città di S. Sepolcro, Foligno, N. Campitelli, 1713, ristampato a Bologna, Forni, 1980, pp. 23, 25; Historia Burgi, in Cronache Quattrocentesche di San Sepolcro, a cura di G.P.G. Scharf, in corso di stampa; Ser Bartolomeo di ser Gorello, Cronica dei fatti di Arezzo, a cura di A. Bini e G. Grazzini, Rer. Italic. Scrip.2, t. XV, p. I, Bologna, 1917, pp. 1-194; Statuto di Arezzo (1327), a cura di G. Marri Camaiani, Deputazione di Storia Patria per la Toscana, sezione di Arezzo, Firenze, 1946; Giovanni Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Guanda, Parma, 2007, ad indicem.

 

Studi:

A. Antoniella, Affermazione e forme istituzionali della dominazione fiorentina sul territorio di Arezzo (secc. XIV-XVI), «Annali Aretini», I (1993), pp. 173-205: pp. 179 e segg.; L. Berti, Arezzo nel tardo medioevo (1222-1440). Storia politico-istituzionale, Società storica aretina, Arezzo, 2005; L. Coleschi, Storia di Borgo San Sepolcro, San Sepolcro 1886, ristampata in L. Coleschi – F. Polcri, Storia di San Sepolcro, San Sepolcro, C.L.E.A.T., 1966, pp. 39-45; F. Conticelli, Una sepoltura ricchissima e quanto più si potesse onorata: osservazioni sul cenotafio di Guido Tarlati nel Duomo di Arezzo, in Arte in terra d’Arezzo, Il Trecento, a cura di A. Galli e P. refice, Firenze, Edifir, 2005; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze, Sansoni, 1957, ad indicem, E. Droandi, Guido Tarlati di Pietramala ultimo principe d’Arezzo, Calosci, Cortona, 1993; G. Fatini, L’ultimo secolo della repubblica aretina, «Bull. Senese di storia patria», XXXI (1924), pp. 92-106; G. Muzi, Memorie civili, vol. I, in Id., Memorie ecclesiastiche e civili di Città di Castello, raccolte da M.G.M.A.V. di C. di C., con dissertazione preliminare sull'antichità ed antiche denominazioni di detta città,  Città di Castello, F. Donati, 1844 (ristampa anastatica Città di Castello, Phromos, 1988), pp. 144-6; U. Pasqui, Cronologia dei vescovi di Arezzo dalla metà del secolo IV all’anno 1403, in Id., Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medio Evo, vol. IV, Arezzo, Bellotti, 1904, pp. 257-290: p. 286; U. Pasqui, Frate Mansueto pseudo-vescovo aretino (1329-1330), «Archivio Storico Italiano», VII (1891), pp. 129-134; R. Piattoli, Tarlati, (sub voce) in Enciclopedia Dantesca, V, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1976, pp. 523-524; A.M. Ponticelli Rupi, Guido Tarlati di Pietramala. Vescovo e signore di Arezzo [1937], Tibergraph, Città di Castello, 1993; G. Taddei, Castiglion Fiorentino fra XIII e XV secolo. Politica, economia e società di un centro minore toscano, Olschki, Firenze, 2009.


Apporti nuovi di conoscenza:

Note eventuali:

Gian Paolo G. Scharf è autore delle note relative a Sansepolcro e Città di Castello.

Gabriele Taddei è autore di quelle relative ad Arezzo e Castiglion Fiorentino.