Mangiadori, Barone


di:
Estremi anagrafici:

1250 circa – 28 agosto 1313



Durata cronologica della dominazione:

San Miniato: agosto 1308-1310 circa



Espansione territoriale della dominazione:
Origine e profilo della famiglia:
Titoli formali:

Capitaneus ad reformandam terram (1308).


Modalità di accesso al potere:

Capo di uno dei due principali lignaggi magnatizi (assieme ai Ciccioni-Malpigli) della terra, ai primi del Trecento Barone si trovò a contrastare una compagine popolare che, complice la crescente influenza fiorentina, si era venuto rafforzando anche a San Miniato, sottraendo spazi di potere a quelle famiglie che fin dal XII secolo avevano occupato il vertice del governo cittadino. In particolare il 4 agosto del 1308 i magnati samminiatesi, con Mangiadori e Ciccioni alla loro testa, ingaggiarono una vera e propria battaglia con il Popolo per le strade della città, sconfiggendolo in maniera netta. A scatenare l’insurrezione delle famiglie di nobiles sarebbe stata l’introduzione da parte del Popolo di una specifica norma, con ogni probabilità modellata su uno degli ordinamenti di giustizia fiorentini, che obbligava i magnati a prestare giuramento di fronte al Podestà cittadino di non offendere alcun popolano (nel maggio si era verificato l’episodio del ferimento di uno degli ufficiali di vertice cittadini da parte di un Ciccioni, a cui il Popolo in armi guidato dal Capitano aveva distrutto la casa). Rimasti in tal modo padroni del campo, i magnati guidati da Mangiadori e Ciccioni affidarono a Barone, assieme a Tedaldo Ciccioni, il compito di riformare l’assetto del Comune.


Legittimazioni:

Sconfitto militarmente il Popolo, Barone e Tedaldo Ciccioni vennero nominati capitani per la riforma della terra da una sorta di consiglio informale formato dalle loro famiglie e probabilmente dai membri degli altri lignaggi magnatizi che avevano partecipato all’insurrezione.


Caratteristiche del sistema di governo:

Sul piano istituzionale, la prima e più importante conseguenza della vittoria ottenuta sul campo dai magnati fu l’abolizione della figura del Capitano del Popolo, garante e vertice politico-istituzionale della compagine popolare. Per il resto, Barone e Tedaldo si limitarono in concreto a nominare un nuovo collegio dei Dodici (la magistratura di vertice del Comune di San Miniato), e quindi a nominare attraverso di esso un nuovo Consiglio del Podestà. L’azione di Barone e Tedaldo, dopo che durante il tumulto erano stati dati alle fiamme gli statuti, e quindi era stata eliminata la normativa prodotta dal Popolo, mirò soprattutto a eliminare concretamente la presenza di questo nelle istituzioni comunali, e a imporre una nuova a precisa linea politica. In questa ottica va vista anche la concessione (per la durata di un mese) di uno speciale arbitrio in ambito penale e di ordine pubblico al Podestà allora in carica, che contribuì a spegnere eventuali velleità di rivalsa negli ambienti popolari. Normalizzata in tal modo la situazione, il predominio di Barone e Tedaldo , capi dei rispettivi lignaggi, si esplicò in maniera indiretta attraverso la gestione dei legami clientelari, personali e familiari, con la classe dirigente samminiatese.


Sistemi di alleanza:

Saldamente inserita ormai da più di trenta anni all’interno della coordinazione guelfa facente capo a Firenze, nonostante la tradizionale propensione per lo schieramento ghibellino di larghi strati della popolazione, San Miniato non modificò la propria posizione sullo scacchiere regionale durante la fase di predominio di Barone e Tedaldo. D’altra parte Firenze, che pure non reagì direttamente alla sollevazione magnatizia, mantenne nei fatti il proprio sostegno alla parte popolare uscita sconfitta, favorendone il predominio sul lungo periodo.


Cariche politiche ricoperte in altre citt?:

Legami e controllo degli enti ecclesiastici, devozioni, culti religiosi:

Politica urbanistica e monumentale:

Politica culturale:

Consenso e dissensi:

La riforma istituzionale promossa da Barone e Tedaldo ebbe l’attivo supporto di gran parte degli altri lignaggi magnatizi samminiatesi, che ad essi e alle loro famiglie guardavano quali punti di riferimento politici. Dall’altro lato, la sostanziale ostilità del Popolo samminiatese non impedì a Barone e Tedaldo di conservare e accrescere i rapporti con singoli esponenti e famiglie di estrazione popolare.


Giudizi dei contemporanei:

L’unica fonte coeva samminiatese, il Diario di ser Giovanni di Lemmo da Comugnori, non riporta di fatto alcun giudizio circa la fase di predominio di Barone e Tedaldo . Il Villani, nel narrare l’episodio della sollevazione magnatizia, sottolinea come tutto avvenne “per soperchi ricevuti dal popolo di Samminiato, overo perché 'l popolo gli tenea corti, per modo che non poteano signoreggiare la terra a·lloro senno”.


Fine della dominazione:

La concordia, o forse meglio l’unità di intenti, che Mangiadori e Ciccioni avevano mostrato per colpire la parte popolare non durò a lungo. Non abbiamo testimonianze dirette sulle cause che portarono al risorgere del conflitto fra i due lignaggi, né conosciamo quale fu il ruolo in esso giocato da Barone e Tedaldo. Sappiamo in ogni caso che nel 1317 la terra era divisa in due secte, in due fazioni in lotta fra di loro, facenti capo ai nostri due lignaggi. Sul piano esterno, del resto, l’incombere di Enrico VII aveva spinto la città a porsi sotto la protezione fiorentina, concedendo la custodia della rocca e delle fortificazioni cittadine a Firenze già sul finire del 1310.


Principali risorse documentarie:

La fonte principale sulla signoria di Barone e Tedaldoè rappresentata dal Diario di ser Giovanni di Lemmo da Comugnori. Alcuni riferimenti sono presenti anche nella Cronica di Giovanni Villani. Nel complesso, le testimonianze relative a questa fase della storia samminiatese sono comunque scarse.


Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

Fonti: Acta Henrici VII Romanorum Imperatoris, a cura di F. Bonaini, pars secunda, Florentiae MDCCCLXXVII, doc. LXIX, pp. 55-57; G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Guanda, Parma, 1990-1991; Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco (1337), a cura di Francesco Salvestrini, Pisa, ETS, 1994, ad indicem; D. Compagni, Cronica, a cura di D. Cappi, Roma, ISIME, 2000, pp. 13 s. [I, IX, 39; I, X, 41]; Ser Giovanni di Lemmo Armaleoni da Comugnori. Diario (1299-1319), a cura di V. Mazzoni, Firenze, Olschki, 2008.

Studi: G. Rondoni, Il franco ed esperto cavaliere messer Barone dei Mangiadori, «ASI», s. 4, 1882, t. 10, pp. 350-361; F.M. Galli Angelini, Messer Barone Mangiadori, «Bollettino dell'Accademia degli Euteleti», III, 1921, pp. 37-44; R. Davidsohn, Storia di Firenze [1896-1908], 8 voll., Sansoni, Firenze 1956-1965, ad indicem; F. Salvestrini, Introduzione, a Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco (1337), a cura di Id., Pisa, ETS, 1994, pp. 5-54; F. Salvestrini, Mangiadori, Barone, in DBI; F. Salvestrini, Società ed economia a San Miniato al Tedesco durante la prima metà del secolo XIV, in Idem, Statuto del Comune di San Miniato – 1337, ETS, Pisa, 1995, pp. 7-25; F. Salvestrini, San Miniato al Tedesco. L'evoluzione del ceto dirigente e i rapporti col potere fiorentino negli anni della conquista (1370 - ca. 1430), in Lo stato territoriale fiorentino, secolo XIV-XV, ricerche linguaggi confronti. Atti del seminario internazionale di studi, San Miniato 7-8 giugno 1996, Pisa, Pacini, 2001, pp. 532-540.


Apporti nuovi di conoscenza:

Note eventuali: